ItaliaOggi, 21 agosto 2020
Dubai, dal petrolio all’insalata
Sono lontani i tempi in cui gli abitanti di Dubai si accontentavano di mangiare qualche dattero e un po’ di latte di cammello. Il boom economico e la ricchezza generata dal petrolio hanno trasformato l’emirato e il fabbisogno alimentare è aumentato e soprattutto si è diversificato. Oggi, infatti, la città conta più di 3,3 milioni di abitanti di 200 diverse nazionalità, che richiedono cibo di qualità. Così, dopo aver affrancato la propria economia dall’industria petrolifera e aver investito nell’immobiliare e nei servizi, ora Dubai si appresta a vivere la propria rivoluzione agricola. Stanco di dover importare praticamente tutto ciò che si mangia nel suo territorio, lo sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum ha puntato sull’autoproduzione e per farlo – in uno Stato piccolo e arido – non poteva che ricorrere alla tecnologia.
Simbolo di questa volontà è Al-Badia, un’azienda agricola ultramoderna costruita in mezzo al deserto. Qui gli ortaggi sono coltivati in serre in cui ogni parametro è controllato automaticamente: dall’irrigazione all’illuminazione. Le verdure non sono piantate al suolo, ma crescono in verticale, su substrati che ottimizzano la produzione e permettono di recuperare il 90% dell’acqua utilizzata. «È una rivoluzione agricola nel mezzo del deserto», ha spiegato all’Agenzia France Presse il direttore dell’azienda, Bassel Jamal. «Diamo a ogni pianta la quantità di luce, umidità, calore e acqua di cui ha bisogno. È come se fosse un ospite di un hotel a cinque stelle».
Ma perché investire nella produzione agricola quando le risorse per acquistare i prodotti dall’estero non sono un problema per i ricchi abitanti di Dubai? Il manager spiega come la pandemia abbia messo in evidenza un rischio, quello dell’interruzione della fornitura di prodotti deperibili su scala globale. «Ci ha ricordato l’importanza del concetto di sicurezza alimentare», sottolinea. A Dubai, per esempio, viene venduta anche ortofrutta italiana, trasportata via aereo o nave nell’emirato, dalle mele all’uva da tavola, fino alle insalate pronte per il consumo.
Dubai, così come gli Emirati Arabi Uniti in generale, hanno poche risorse idriche, poca terra coltivabile e un ambiente desertico ostile all’agricoltura. Investire nel settore primario è dunque una scommessa, ma anche una «scelta per il futuro». Gli Emirati importano il 90% del proprio fabbisogno alimentare, ma l’instabilità globale ha posto l’accento sul tema dell’autosufficienza alimentare. L’Afp ricorda come oltre un decennio fa Dubai & Co abbiano iniziato a comprare o affittare terreni agricoli all’estero, principalmente in Africa orientale, per garantire l’approvvigionamento anche in tempi di crisi. Ma l’instabilità politica ha poi portato gli Emirati a rivolgersi all’Europa e all’Australia e ad adottare altre strategie, come l’avvio di una produzione interna. «Non vogliamo più dipendere dalle importazioni. Vogliamo produrre localmente, tutto l’anno senza preoccuparci dei cambiamenti climatici, delle piogge o della siccità», osserva Jamal. «Come Al-Badia, molte aziende agricole stanno crescendo a Dubai e nei vicini Emirati».
Abdellatif al-Banna, per esempio, coltiva ananas in quattro serre dove tutto è attentamente controllato e vende la sua produzione tramite una piattaforma internet. L’acquacoltura ha già mosso i primi passi da qualche anno, l’allevamento di salmoni di Dubai offre pesci particolarmente apprezzati. Ci sono poi allevamenti di bestiame e fattorie che riforniscono caseifici. Si tratta di investimenti privati, ma che sono sostenuti dal governo, come evidenzia Omar Bouchehab, presidente del Dubai Food Security Committee. All’Afp dice che è in corso un piano per aumentare la produzione agricola locale del 15% nel 2021. «Il rafforzamento delle tecnologie agricole e il loro utilizzo devono essere aumentati del 30%», ribadisce Bouchehab. Dopo il petrolio e il mattone un ritorno alla terra, non con la zappa ma con il computer.