Corriere della Sera, 21 agosto 2020
Sul filobus con Biden
Pragmatico, ironico, informale, nella sua lunga carriera parlamentare, prima di arrivare alla Casa Bianca come vice di Obama, Joe Biden è stato sempre accessibile ai giornalisti, anche stranieri. L’ho intervistato in alcune occasioni, l’ultima volta passeggiando nei giardini dell’isola di San Giorgio, nella laguna di Venezia, in margine a un meeting internazionale. Ma quello che mi è rimasto più impresso è il primo incontro durante il Forum di Davos, gennaio del 2007, se non vado errato. Lui era presidente della Commissione Esteri del Senato. Ricevimento organizzato da aziende americane dopo cena all’Hotel Belvedere, in una sala piena di fumo. Ci presentano, e lui si comporta subito in modo gioviale. Tento di intervistarlo ma le domande le fa tutte lui, a raffica, e quando provo a protestare per l’inversione dei ruoli mi spiega – un po’ sincero, un po’ gigione – che all’estero preferisce parlare coi giornalisti: «Sono più diretti dei diplomatici, sono più brillanti e spesso ne sanno anche di più». Dopo un po’ usciamo insieme nella notte gelida. C’è anche Jill, silenziosa. La limousine blindata non è ancora arrivata. Passa un filobus dei trasporti municipali: «Prendiamo questo» propone lui: «Il nostro albergo non è lontano». Salgo con Biden che coinvolge anche Rigoberta Menchù, avvolta nel suo abito tradizionale: è appena uscita dal Belvedere anche lei. Siamo gli unici passeggeri di quella strana corsa notturna. Mi stupisce la confidenza dell’allora senatore col trasporto pubblico: a quel tempo non sapevo che andava tutti i giorni al lavoro a Washington in treno.