Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  agosto 20 Giovedì calendario

Intervista a Johnson Righeira

A quale tormentone è più affezionato?
«Faccio fatica a scegliere tra Vamos a la playa e L’estate sta finendo, tutti e due brani miei. Voglio molto bene a entrambi».
Ne deve scegliere uno.
«Vamos rappresenta la mia anima più elettronica, L’estate quella più romantica: quando canto la versione lenta dal vivo mi capita spesso di commuovermi. Mi rappresenta ancora, a maggior ragione adesso che sto per compiere 60 anni (il 9 settembre, ndr)».
E quando ha sentito la versione da stadio, «Un giorno all’improvviso»?
«Mi dispiace che non si possano far pagare i diritti d’autore. Ma lo sa che quando arrivo nella tribuna degli Union Bhoys, gli ultrà della Royale Union Saint-Gilloise, la squadra di calcio di Saint-Gilles, a Bruxelles, me la intonano? È bello...».
Incontriamo Johnson Righeira, al secolo Stefano Righi, sotto un pergolato nella frazione San Grato di Agliè, a 32 chilometri dalla Mole Antonelliana e dai grattacieli di Torino che si intravedono sullo sfondo, dove lui torna ogni volta che ne ha voglia in sella al suo cinquantino: non ha la patente. Non parla volentieri di Michael Righeira, alias Stefano Rota, il partner artistico con cui ha ossessionato gli italiani esortandoli ad andare in spiaggia a partire dal 1983 (anche se esagerarono sul serio due anni dopo, facendo finire l’estate prima ancora che cominciasse). Però non si sottrae alle domande.
Vi siete già lasciati due volte. Magari tornerete insieme.
«Non credo proprio. La prima separazione fu dal 1992 al 1999. Quella definitiva è datata 23 giugno 2015».
Definitiva, che parolone...
«I motivi sono gli stessi, con aggravanti. Non abbiamo più niente da condividere».
Vi siete anche divertiti.
«Vero... La sera facevamo tardissimo e il giorno dopo lasciavamo le camere degli hotel di pomeriggio. Le cameriere si inferocivano. Quando bussavano, avevamo il coraggio di mettere fuori i bagagli e poi tornavamo a letto».
Altri ricordi?
«Certi ritardi clamorosi... Aerei che ci aspettavano, dopo che i nostri discografici avevano chiamato il capo scalo di turno, e noi che spuntavamo sotto gli sguardi omicidi dei passeggeri».
Eravate sempre in ritardo?
«Sempre. A una puntata del Festivalbar sul Gargano ci presentammo fuori tempo massimo al pullman dove ci stavano aspettando gli altri cantanti. A bordo mi accorsi di aver dimenticato una cosa in albergo, lo bisbigliai a Michael e lui replicò: “Se hai il coraggio, dillo tu”». E ride.
Spese assurde?
«Ah, il record è mio. Ero a Riccione, verso la fine degli anni 80, e ci aspettavano a Campagna, nel Salernitano. Ero con una fidanzata e facemmo tardi. Morale: non sentii la sveglia. Era Ferragosto e i treni utili erano tutti partiti, così fui costretto a chiamare un taxi. Quando arrivammo la folla stava già aspettando e il tassametro segnava un milione e duecentomila lire. Il taxista mi fece lo sconto e pagai 900 mila...».
Però non doveva andarvi male. All’estero vi pubblicava l’A&M, che aveva in catalogo i Police e i Supertramp.
«Sono riuscito a dilapidare i soldi man mano che li guadagnavo. Andava tutto così veloce... Una volta a Parigi finimmo in tv con i Culture Club e Boy George in camerino cantava Vamos a la playa: fu un bel flash. Poi conobbi Greg Kihn, di Jeopardy. Era circondato da truccatrici e parrucchiere e disse: che belle le vostre canzoni! Un’altra volta incrociammo i Trammps di Disco Inferno che ci fecero i complimenti. A Colonia trovammo Stevie Wonder che muoveva la testa ascoltando la nostra Hey Mama, così mi avvicinai a stringergli la mano: ho ancora la pelle d’oca...».
Del carcere, cinque mesi nel 1993 per spaccio di stupefacenti (poi assolto), le chiedo solo se ha mai rivisto il detenuto che la protesse.
«Che mi aveva aiutato l’ho capito dopo. Era un povero cristo che trincava, magrissimo con una pancia enorme: diceva che era andato a dormire a casa di un tipo e la mattina dopo lo aveva trovato morto. Dopo la prima notte in custodia cautelare venni richiesto da una cella da sei, anche se eravamo in nove. Furono tutti molto gentili: mi offrivano sigarette, da bere...».
Cantò per loro?
«No, non durante la detenzione, mi era crollato il mondo addosso. Ma anni dopo, con i Righeira, facemmo un concerto al carcere Lorusso e Cutugno di Torino».
Riceve i diritti d’autore?
«È una sorta di pensione. Vamos a la playa vende ancora in tutto il mondo. Due-tre anni fa fu usata da McDonald’s per il pubblico spagnolo: parliamo di 15 mila euro. Peccato che il coronavirus abbia bloccato lo spot di un’agenzia di scommesse che voleva usare Un giorno all’improvviso».
Ha fondato una nuova etichetta discografica. Vuole replicare i successi passati?
«L’etichetta si chiama Kottolengo Recordings e sì, penso di avere ancora delle cose da dire. Se riuscirò a scrivere un’altra hit, allora vorrà dire che sono bravo».
Organizzerà una festa per i 60 anni?
«Io no, ma se vorrà pensarci il mio vicino di casa Daniele Lucca, si potrebbe fare qui».
Se si presentasse Michael?
«Non credo che gli verrà voglia, ma se dovesse farlo io non manderò via nessuno».