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 2020  agosto 20 Giovedì calendario

Storia del colore bianco

Il bianco è più di un colore; è un ultra- colore e anche un oltre-colore. Del resto, il bianco è identificato con la luce e per questo gode di tutti i privilegi del caso, ma anche di tutte le limitazioni che questo produce come colore a sé.
La radice indoeuropea di “bianco” significa “essere vivido”. Il termine greco che lo indica, leukòs, è riferito a oggetti come la neve, l’argento, la polvere, i capelli bianchi, la pelle chiara, alla luce e al sole stesso; e rinvia a “una voce chiara”, a “un giorno felice”. Platone sostiene che il bianco è il colore adatto aglidei,mentre Euripide fa dichiarare a un sacerdote che se indosserà vesti bianche sfuggirà al destino dei mortali. Robert Graves in La Dea Bianca parla del rapporto tra la bellezza femminile, che è bianca, e la divinità: la “Signora Bianca” compare in molte religioni antiche e sovente è identificata con la Luna. Come ricorda Alberto Castoldi, questo colore può trovarsi ai due estremi della gamma cromatica: estremamente opaco ed estremamente brillante, per cui in latino esiste il termine candidus, bianco abbagliante, e albus, bianco opaco.
La parola “candidato” indica colui che indossa il vestito bianco nel suo passaggio di stato, ragione per cui questo colore, che indica la purezza e la verginità, finisce per riferirsi ad una condizione neutra. Wittgenstein nelle sue Osservazioni sui colori si chiede: “Non è il bianco che allontana l’oscurità?”.
Il destino del bianco non è quasi mai disgiunto da quello del nero. Nel mondo classico il suo contrario è il rosso, così che, fino al XII secolo, in molti racconti o miti si trovano i tre colori simbolici in relazione: bianco, nero e rosso. In Biancaneve, versione raccolta dai fratelli Grimm, c’è la neve, le gocce di sangue e i capelli neri come l’ebano. A trasformarlo in un non-colore sarà la rivoluzione scientifica innescata dalle ricerche di Newton e in particolare dal suo spettro dei colori. Per gli antichi, e non solo per loro, bianco è anche un colore dell’aldilà, dei trapassati. Le loro apparizioni diurne saranno nere: gli spettri, mentre nella notte appaiono bianchi: i fantasmi.
Condensando in una sorta di elenco i tanti significati di questo colore, Michel Pastoureau, ricorda il bianco come innocenza e purezza (gli abiti ecclesiastici, il colore liturgico, le vestali e l’agnello), come igiene e pulizia (saponi e detersivi), come freddo (la neve e il gelidoNord), comesaggezzae vecchiaia (capelli bianchi, i saggi, i druidi, i maghi: Albus Silente), come colore dell’aristocrazia e della monarchia (le bandiere e i vessilli), come assenza di colore (il grado zero del colore), come riferimento del divino (il paradiso, gli angeli, la felicità). Insomma più di un colore, e insieme meno di un colore.
C’è un altro aspetto che riguarda il bianco ed è ben rappresentato da un personaggio mitico: Moby Dick, lo “spetto bianco”, la presenza più inquietante elaborata dall’immaginario ottocentesco (Castoldi). Come si è arrivato a questa presenza biancheggiante che ritorna in altri racconti e romanzi? Nel suo studio sul nero Michel Pastoureau spiega come alla fine del XV secolo il nero e il bianco entrino in una nuova fase della loro millenaria storia, premessa della loro nuova natura di non-colore. Da un lato, c’è la Riforma con la sua cromofobia, l’adozione del nero e dello scuro negli abiti; dall’altro, l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Gutenberg e il suo lavorante Peter Schoeffer creano un universo in bianco e nero che prima non esisteva:un nuovo immaginario abita l’Occidente.La pergamena medievale era più beige che bianca e l’inchiostro più bruno che nero; le miniature quasi sempre policrome. Ora invece sul bianco della carta appare un nuovo universo, è il Nuovo Mondo della stampa. Certo il numero dei lettori è limitato, tuttavia la carta bianca e l’inchiostro creano un nuovo spazio mentale. Per capirci: è la medesima cosa avvenuta con la creazione della Rete e di Internet, con la comparsa della visione elettronica. C’è un’espressione sintomatica: “avere carta bianca”, con cui s’intende la pura potenzialità. Con il libro e la tipografia il bianco diventa metafora del possibile e della creazione.
Castoldi definisce questo colore un “perturbante” nel senso freudiano del termine, accostandolo alla sessualità e alla stessa creatività. Le immagini del “deserto bianco” – la neve, i ghiacci, il GrandeNord— diventano consuete nei romanzi del post-romanticismo ottocentesco. Il bianco vi tiene un ruolo centrale: è la somma di tutti i colori, il loro massimo potenziamento, l’evento da cui gli altri colori discendono. La Balena Bianca di Melville è esattamente questo, così come la bianca traccia che la nave, il Pequod, lascia dietro di sé appare come la metafora della scrittura stessa: il mare è il foglio su cui lo scrittore americano sta scrivendo il suo romanzo. Castoldi parla del bianco come la cifra dell’operazione meta- discorsiva – discorso sul discorso -, cheha comeriferimento diretto la creatività. Qui il bianco non è più un colore, ma molto di più: uno stato dell’essere e insieme del non-essere.
Nel suo libro di aforismi dedicati ai colori, Chroma, il cineasta inglese Derek Jarman ha intitolato il capitolo dedicato a questo colore: “Bugie bianche”. La cultura cinese possiede due termini per il bianco, analoghi a quelli latini: bài (il bianco chiaro, puro) e hào (il luminoso e lucente). Il bianco è per l’Oriente il colore del vuoto, e del lutto; in Occidente è il contrario: il lutto veste di nero. Il vuoto è in quella cultura orientale l’inizio e insieme la fine.Qualcosa del genere accade nella letteratura e nell’arte europea durante la seconda metà dell’Ottocento. E anche nel Novecento: “1919. Il mondo è in lutto. Kasimir Malevic dipinge Bianco su bianco. Un rito funebre della pittura”, scrive Jarman.
In un suo libro, Cromofobia, David Batchelor accusa l’arte, l’architettura, la letteratura e la fotografia del XX secolo di odiare il colore, di preferire il bianco a partire dagli stessi luoghi espositivi, gallerie e musei; è il White Cube, come è stato definito. Il minimalismo e la Pop art sono i responsabili di tutto questo. I colori ci sono, ma sono “colori chimici”, come quelli di Andy Warhol e di Yves Klein; l’arte usa il colore dei barattoli e non più i tubetti ad olio o la tempera, scrive Batchelor.
Ancora una volta il bianco è al centro d’un conflitto. Esiste forse la biancofobia? Possibile. Del resto in pittura il “bianco” non esiste come colore; c’è la biacca, l’avorio, la calce, il gesso. Il bianco è sempre “sporco” dice Pastoureau, e se lo si mescola con qualsiasi altro colore il risultato volge verso lo scuro, il nero. Povero bianco.