la Repubblica, 20 agosto 2020
La storia di Veronica Lazar nel documentario della figlia
Racconta Bernardo Bertolucci che Marlon Brando la vide per la prima volta “già stecchita, in mezzo ai fiori. Stecchita e bellissima”. Parigi, set di Ultimo tango. «La sequenza di Brando con il cadavere della moglie suicida la girammo in una giornata». Fu un incontro di lavoro e d’amore di un giorno, e noi cinquant’anni dopo ancora qui incantati ad ascoltare. Esercizio: provare a immaginare quel pomeriggio. Brando entra nella stanza buia (il set è pronto, lei non lo ha mai visto e non deve, non può aprire gli occhi), trova Veronica Lazar rigida nella bara, indosso una veste fiorita. Parte il monologo. “Anche se un marito vivesse duecento maledetti anni non scoprirebbe mai la vera natura di sua moglie. Potrei anche capire l’universo, ma non riuscirò mai a scoprire la verità su di te. Ma chi diavolo eri, tu?”. Ancora Bertolucci: “La sera invitammo Veronica a mangiare con noi, lei arrivò un po’ in ritardo a cena e ci raccontò di come Marlon l’aveva sedotta senza neanche parlarle”. Non deve aver dato dettagli in pasto ai commensali. Magari un giro di parole, un movimento di sopracciglia o un enigma di sorriso. Anni dopo a Tatti Sanguineti, amico caro che, come tutti, le chiedeva di Brando, “lei che era principesca, nulla era più lontano da lei del chiacchiericcio, rispose: era un uomo da cui era impossibile non essere attratti, come Adolfo”.
Alexandra Celi, la figlia, oggi, con struggente tenerezza: «Credo si possa dire, ormai: con Marlon Brando fu una storia d’amore di una sera. Mamma aveva un fazzoletto, dentro un cassetto. Lo ha sempre avuto. Un fazzoletto di seta che lui le aveva regalato, ogni tanto lo prendeva per sentire il suo profumo». Ma sarebbe un vero errore immaginare un temperamento romantico, un’indole nostalgica.
Nevronica, come la chiamava Michelangelo Antonioni, e anche la contessa scalza – per la sua inclinazione a stare, anche d’inverno nelle hall dei grandi alberghi, a piedi nudi – era una donna indomita, inquieta, misteriosa. Una ebrea esule dalla Transilvania, attrice, psicologa, una rivoluzionaria nella Roma degli Anni Sessanta. «Mamma era inaccessibile, non era mai di nessuno. Non eri mai completamente suo amico, mai completamente un suo amore. Questo faceva impazzire tutti, soggiogava gli uomini fino allo sfinimento».
È una pagina di storia del cinema, il docufilm che Alexandra Celi ha prodotto e sceneggiato per la regia di suo fratello Leonardo Celi e di Roberto Savoca. Ha per titolo una definizione di Bertolucci: Era la più bella di tutti noi – le molte vite di Veronica Lazar. Filmini di famiglia, spezzoni di film memorabili, le immagini e le parole di Bertolucci, Gassman, Antonioni, Dario Argento, Mario Martone che l’ha diretta per ultimo poco prima che morisse nel 2014, era la madre di Leopardi nel Giovane favoloso. Le lettere lasciate ai figli, un diario-testamento che rivela cose ultime e insieme raccomanda: prendete i broccoli che ho cucinato per voi, sono nel freezer. “Non preoccuparti, Alexandra: non sono piccanti”.
«Sono figlia di Adolfo Celi e Veronica Lazar: è stato come essere nata in una famiglia di supereroi senza avere i superpoteri», sorride Alexandra. «Lui il più cattivo (ma invece era buonissimo: delicato affettuoso quasi timido), lei la più bella». Un’infanzia così: «Papà ci veniva a prendere a scuola alle elementari, aveva una Mercedes d’oro e i bambini erano terrorizzati, si nascondevano: vedevano lord Brooke, il cattivo che vuole uccidere Sandokan. Le madri mandavano i figli a casa nostra con le dovute precauzioni, il pomeriggio: mamma era nata in Transilvania, forse un vampiro, papà era crudele per statuto». Le case. «La villa sull’Appia antica, accanto a quella di Peter Sellers, era un posto magnifico e terrificante. Coperta di edera, buia, coi mobili inglesi. Sembrava un castello medievale. Loro litigavano con urli terribili, erano due personalità molto forti – diciamo così. Si lasciavano e si riprendevano sempre. Papà voleva i camerieri, Vittorio Gassman raccontava che fossero sette, mia madre non riusciva a concepirlo, era il ’68, era una rivoluzionaria, voleva studiare e difatti poi si è laureata, è diventata psicologa». «Quando è andata a vivere da sola, con noi due bambini, tornavamo da scuola che dormiva ancora. C’era nebbia di sigarette sempre, ne fumava 60 al giorno. A cena venivano Benigni, Antonioni, Bernardo e sua moglie. Dario Argento, che l’ha voluta per Inferno. Io mi mettevo i suoi vestiti, apparecchiavo e sparecchiavo. Cercavo il mio posto nel mondo. Poi a un certo punto è andata in Africa, mandata non so come dal ministero degli Esteri in missione. A me e mio fratello ha detto “andate da papà”, ma anche lui non c’era, era fuori per lavoro. Dunque stavamo soli. In Africa l’ha chiesta in sposa un capo tribù del Mali che aveva già cinque mogli. Lei ha accettato, era la moglie di rappresentanza, l’occidentale. Lo chiamava il Comandante. Si sono scritti per anni lettere d’amore magnifiche, in francese. Un giorno mi ha detto vai a prenderlo, ho protestato, lei ha detto con un sorriso tu non capisci niente dell’amore. A Termini mi sono trovata davanti quest’uomo immenso, in abiti africani, è sceso dal treno e aveva delle buste di plastica al posto delle valigie. Era un re, effettivamente». “Perdoniamoci”, ha scritto in una delle lettere arrivate postume ai figli.
«Certo che ci siamo perdonati. Io ne avevo paura da bambina, mi metteva soggezione. Come a tutti. Era incantevole, poi esplodeva dal nulla. L’ho accudita, negli ultimi tempi della malattia. Aveva un tumore ma aveva deciso di non curarsi. Era medico, d’altra parte. Comunque decideva sempre lei. Sono stati mesi bellissimi. Un giorno mi ha detto: non sai il bene che hai portato nella mia vita. I miei figli sono stati l’amore. Poi, nel doloroso svuotamento della casa, ho trovato i diari e le lettere. Chiedeva di essere seppellita al cimitero ebraico di Prima porta, nonostante non fosse osservante. Che sua nipote Maddalena, mia figlia, suonasse il violino per lei. E che fumassimo tranquillamente una sigaretta, se volevamo». Ha lasciato il frigo pieno di pietanze congelate. Cucinare per gli altri è stata sempre una vocazione: al teatro Valle occupato, negli ultimi anni, arrivava con teglie di pietanze per tutti. «Sono molto diversa da lei, certo. Oramai ci ho fatto pace. Nessuno è stato come lei, era una specie di stella: come se fosse arrivata dal nulla e nel nulla rientrata. Un codice genetico irripetibile, una forza fisica mostruosa: io e mio fratello Leonardo guardiamo le nostre figlie cercando le sue tracce. La nonna torna, è un poco in tutti e tornerà del tutto, un giorno. La cercheremo in ogni nuovo venuto al mondo. Ritrovarla sarà bellissimo».