la Repubblica, 20 agosto 2020
I dati sull’occupazione che danno ragione a Draghi
«Ai giovani bisogna dare di più», ha detto in apertura del Meeting di Rimini due giorni fa l’ex presidente della Bce Mario Draghi. Ma l’analisi dei dati sul lavoro dimostra che negli ultimi 12 anni ai giovani si è dato invece sempre meno. Il tasso di occupazione della fascia tra i 15 e i 34 anni è passato dal 50,3% del 2008 al 41% del 2018, mentre, al contrario, nello stesso periodo per effetto delle riforme previdenziali la fascia tra i 55 e i 64 è passata dal 34,3% al 54,7%. Una “staffetta generazionale” al contrario, come emerge dallo studio Istat «Invecchiamento attivo e condizioni di vita degli anziani in Italia», (a cura di Luciana Quattrociocchi e Mauro Tibaldi), che non sa valorizzare appieno le competenze degli anziani e che propone soluzioni inadeguate ai giovani. L’equazione per cui un pensionamento (magari anticipato) vale un’assunzione (rilanciata recentemente anche dal premier Giuseppe Conte in occasione degli Stati Generali) si è rivelata scorretta soprattutto perché, spiega l’Istat, «gli occupati di diversa età non sono omogenei per esperienza, capacità e settore d’impiego». I settori che mostrano un fabbisogno maggiore di “entrate” non solo quelli che pensionano, che magari invece hanno l’esigenza opposta, quella di ridurre il personale. Prendendo come anno di riferimento il 2018, pur in presenza di un saldo positivo tra entrate e uscite, sono pochi i settori con un ricambio equilibrato. Per il resto, ci sono settori dove si registrano pochissime entrate e molte uscite (la Pubblica Amministrazione, l’istruzione), mentre le assunzioni si concentrano soprattutto alla voce alberghi e ristorazione, servizi alle imprese, commercio e altri servizi.
Del resto in un Paese che ha un tasso di occupazione del 59%, più basso di dieci punti rispetto alla media Ue, e che vede un crescente e preoccupante aumento della spesa previdenziale, limitarsi a uno “scambio” tra vecchi e giovani è sufficiente per sostenere e rilanciare la crescita?. «L’Italia ha squilibri tali che per poter crescere non basta né aumentare l’età pensionabile e nemmeno arrivare alla piena occupazione giovanile, perché i giovani sono sempre meno», afferma Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica all’Università Cattolica di Milano. «Quindi bisogna intervenire su tutt’e due gli ambiti, anche perché non è detto che un 55enne sia sempre sostituibile da un trentacinquenne. Il giovane deve portare il proprio valore, le proprie competenze, non deve essere considerato un mero sostituto, tra l’altro in un mondo del lavoro che cambia sempre più rapidamente.
La staffetta generazionale può funzionare solo in alcuni settori, come quelli della creatività artigianale, dove c’è bisogno di trasmettere competenze che altrimenti andrebbero perse». «L’Italia ha un sistema produttivo polarizzato verso il basso, e molte aziende impongono ai nuovi assunti il part-time. – rileva Emilio Reyneri, professore emerito di sociologia del Lavoro all’Università Bicocca di Milano – Mancano i percorsi formativi tecnico-professionali di livello universitario: i t entativi del passato sono sempre falliti, e nelle piccole imprese non c’è una grande attenzione al sistema formativo. Per cui nel passaggio dal sistema dell’istruzione al lavoro i giovani trovano il vuoto, a differenza che negli altri Paesi».
A penalizzare i giovani anche il prolungato blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, aggiunge Reyneri: «Eppure abbiamo pochi dipendenti pubblici in relazione alla popolazione, pochissimi infermieri, pochi insegnanti e pochi medici». Servono strategie “multiple”, suggerisce Domenico De Maio, direttore dell’Agenzia Nazionale per i Giovani: «La nostra esperienza di gestori di programmi europei ci permette di mettere a confronto continuamente le politiche giovanili degli altri Paesi, ed è indubbio che all’estero facciano molto di più.Anche quando si è tentato di favorire l’inserimento con gli sgravi fiscali, bisogna che permettano davvero alle imprese di avere un vantaggio. E in ogni caso il tema dell’inserimento giovanile non può essere approcciato solo in riferimento al lavoro dipendente: chiediamoci per esempio quali sono le difficoltà che incontra un giovane per aprire una startup».