Corriere della Sera, 19 agosto 2020
In morte di Giuliano Dego
Il nome di Giuliano Dego, morto ieri a Colico (dove era nato nel 1932), in provincia di Lecco, lo troviamo spesso accostato ai grandi della letteratura. A cominciare dalla sua prima raccolta di poesie, Solo l’ironia (Marotta, 1968), che fu accompagnata da una prefazione di Salvatore Quasimodo.
Dego (foto) si era laureato in cibernetica a Milano con Silvio Ceccato, ma la sua carriera si è svolta per lo più in Gran Bretagna, dove ha insegnato per oltre vent’anni letteratura italiana (Glasgow, Leeds, Londra). Personalità di poligrafo versatile, ambizioso, inquieto, poeta, romanziere, critico, giornalista (del 1985 è una lunga intervista a Montale), collaboratore anche dal «Corriere», traduttore (suo un Don Juan di Byron in ottave). Attratto da opere di ampio respiro, Dego è autore di romanzi fantastorici con venature thriller: Il dottor Max (Bur, 2001, uscito con successo prima in inglese), definito da Giuliano Gramigna un «romanzaccione» per il ritmo incalzante e l’intreccio labirintico che sovrappone epoche diverse, è l’apologia visionaria di un medico ebreo tedesco, Max Gerson, pioniere geniale di una terapia anticancerogena.
Alla passione per la storia antica si deve Seren la Celta (Bur, 2006), che ricostruisce un’oscura vicenda celtica degli anni neroniani. Sempre all’ambizione per le misure grandiose ma anche alla tentazione della parodia obbedisce il poema fluviale La storia in versi (Edizioni Nuove Scrittore, 2006, ma iniziato negli anni 70), un originale esempio di «epica gaglioffa» che «anticipò il recupero postmoderno di forme chiuse tradizionali» (sempre Gramigna). Al versante saggistico-biografico appartiene infine Moravia in bianco e nero (Giampiero Casagrande editore, 2008), che contiene, tra l’altro, un’intervista inedita del 1977 all’autore di Agostino.