Corriere della Sera, 19 agosto 2020
Un manuale degli strafalcioni
«Errore nel processamento del pagamento». Sopravvissuto all’infarto dopo essere inciampato in orrori cacofonici come questo, figlio di un uso osceno della italianizzazione burocratica dell’inglese «process» (che in informatica ha assunto anche il significato «trattare sistematicamente, analizzare, elaborare»), Massimo Birattari, scrittore, traduttore, consulente editoriale, cultore della lingua italiana sulla quale ha firmato vari libri, ha deciso di gettarsi in un’impresa temeraria. E di scrivere, per Ponte alle Grazie, una «Grammatica per cani e porci», un manuale ironico, colto e raffinato ricco di «quiz, errori comuni, domande, risposte: peripezie dell’Homo Grammaticus tra le insidie dell’italiano».
Sia chiaro, precisa, lui non dà del cane e del porco a nessuno: «Non è un insulto. La grammatica ci tocca da vicino, ci riguarda tutti, tutti sentiamo di aver qualcosa da dire sulla lingua che parliamo. E anch’io sono un cane o un porco: non sono un linguista patentato, ma uno che per mestiere, da svariati decenni, si occupa più o meno amorosamente di testi, propri e altrui, che devono essere pubblicati, e così facendo prende decisioni grammaticali che finiscono nei libri». C’è di tutto, nel viaggio attraverso Dante, Manzoni, Petrarca ma più ancora strafalcioni veri o presunti. C’è il «Qulatello» che non ha nulla a che vedere col «Quore» e men che meno col Culatello ma è solo la marca volutamente «strafalcionica» di un salume. C’è Totti che in un titolo ha il «Cuore d’oro: dona l’intero cachet di Sanremo in Beneficienza» con generosità superiore alla cultura del titolista: beneficenza va senza la «i» nonostante «né il correttore ortografico del mio cellulare né quello del programma di scrittura che uso sul computer» sottolineino in rosso lo svarione. Un dettaglio che con altri spinge Birattari, in una lettera aperta («Caro Apple ti scrivo...») a consigliare di non fidarsi troppo. Anzi. Si pensi all’«aurea di sacralità» citata in Google 4.820 volte: non esiste. «Se volete riferirvi all’alone di mistero o di venerazione o di innocenza che circonda una persona o un luogo, il sostantivo da usare è aura... Aura deriva dal latino (e prima ancora greco) aura, il cui primo significato è «brezza», «venticello».
E via così. Con l’accompagnamento di deliziose vignette di Niccolò Barbiero. La prova che si può insegnare a parlare e scrivere senza sprofondare nella noia. E senza capitomboli causati dalla vanità: «In molti articoli di giornale, e talvolta anche nei libri, al posto di schermirsi compare un incongruo schernirsi, come se uno si deridesse, si umiliasse, si prendesse in giro». Ahi ahi. Meglio, piuttosto, perfino certi «errori» ormai sdoganati dall’uso: «Siedi il bambino sul seggiolone». E se lo dice anche la Crusca...