la Repubblica, 19 agosto 2020
Tutti pazzi per Spinoza
I luoghi in cui conserviamo i saperi del passato sono spesso inquietanti. Osservare come insetti morti inchiodati dentro una teca le idee che la fisica, la chimica o la medicina hanno prodotto e scartato nel tempo, significa riconoscere che, proprio come noi, sono fragili e mortali. Non è cosi per la filosofia: i suoi archivi sono luoghi incantati – ci si trova di tutto, e nulla sembra morto. In filosofia le idee servono a veicolare vita ed eternità, più che mera conoscenza. Muoversi negli archivi della filosofia significa allora essere costretti a immaginare una vita possibile. È quello che fa Maxime Rovere, di cui è appena uscito per Feltrinelli Tutte le vite di Spinoza.
Più che una vera e propria biografia, si tratta del tentativo di far coincidere il pensiero di un filosofo con la sua vita ed entrambi con la drammaturgia virtuale di una esistenza riuscita e felice. Per nessun altro filosofo questa equivalenza è pensabile in modo così radicale: uno dei ritornelli più frequenti nell’ Etica, il capolavoro di Spinoza, è che il filosofo non si distingue dall’uomo comune per la sua erudizione o per le sue opinioni, ma per l’intensità della sua vita, nel corpo come nella mente. Essere filosofi significa essere più felici di chi non lo è. Sui tavolini delle librerie, non troverete solo il libro di Rovere. Einaudi ha appena pubblicato edizione aggiornata della sua più autorevole biografia, scritta da Steven Nadler, Spinoza e l’Olanda del Seicento; Mimesis ha appena tradotto unamonografia di YitzhakMelamed, su La metafisica di Spinoza: sostanza e pensiero; Feltrinelli ha ripubblicato un vecchio libro di Paolo Cristofolini, Spinoza per tutti. E non è solo un fenomeno italiano: a Parigi in libreria è appena arrivata la nuova edizione dell’ Etica, la prima fondata sul primo manoscritto scoperto in Vaticano da Pina Totaro e Leen Spruit. Da qualche anno Spinoza è al centro di un’attenzione continua e crescente, e questa febbre per uno dei filosofi apparentemente più isolati e di difficile lettura della storia è di primo acchito piuttosto stupefacente. Certo, c’è stato un grande lavoro di ricerca e di interpretazione che ha precisato la cronologia delle opere e scoperto i legami con lacultura ebraica circostante: basti pensare a Filippo Mignini, Omero Proietti e Pina Totaro in Italia, a Steven Nadler negli Stati Uniti, a Pierre-François Moreau in Francia. Anche le mode del pensiero hanno avuto il loro ruolo: a partire dagli anni Settanta il marxismo ha trovato in Spinoza una sorta di nuovo oggetto transizionale per liberarsi di un’eredità difficile e immaginare un comunismo senza Marx. Gilles Deleuze lo ha definito il principe dei filosofi e gli ha dedicato due tra le sue opere più belle, Antonio Damasio lo ha eletto a modello della neurobiologia e persino il romanzo, da Charles Malamoud a Yrvin Yalom, continua a intonargli omaggi incondizionati.
Se abbiamo così bisogno di «guardare il mondo attraverso le lenti levigate da Spinoza», come già Heine scriveva a proposito dei filosofi della sua epoca, è per qualcosa di più profondo che un mero gioco fatuo di influenze.
In realtà siamo tutti spinozisti, anche senza saperlo, ogni volta che cerchiamo di disfarci del riflesso un po’ pavloviano che ha fatto coincidere per molti secoli filosofia e istituzione universitaria, e proviamo a inventare spazi luoghi e forme di riflessione filosofica alternativa, poco importa che si tratti di festival, canali Instagram o più semplicemente una discussione su whatsapp. Nel 1673, davanti all’offerta di un posto di professore di filosofia a Heidelberg Spinoza declinò perché una tale esposizione pubblica e una simile carica gli avrebbero impedito di essere libero in quello che pensava e scriveva. Alle accademie e agli onori pubblici Spinoza ha sempre preferito le amicizie epistolari nutrite dal pensiero. Non solo una parte importante delle sue opere è costituita da lettere, ma il primo luogo di discussione e genesi della sua filosofia è stato il gruppo dei suoi amici. Si tratta della primaragione della sua attualità: il luogo del pensiero non è la scuola o la piazza ma l’amicizia. È solo tra amiche e amici che si può non solo pensare ma intrecciare conoscenza e amore (come fa il nome stesso filosofia) senza più poter distinguere l’uno dall’altra, l’incontro dei saperi dall’amore per gli altri. Quindici anni di social media hanno creato l’illusione che l’amicizia sia il legame immediato che ci lega a qualsiasi volto capace di apparire. Il risultato inquietante e istruttivo è sotto gli occhi di tutti: l’amicizia “digitale” è un’esperienza quotidiana di violenza e di litigio senza pari. Se l’amicizia è rara e difficile non è perché ha bisogno di intimità fisica ma perché può vivere solo ed esclusivamente di prossimità intellettuale.
Lo spinozismo seduce oggi filosofi e scrittori, artisti e scienziati e lo fa paradossalmente proprio per quello che gli è valso le più violente condanne pubbliche e private della storia della filosofia: il suo panteismo. Nell’Etica, Spinoza ha dimostrato (e nessuno è riuscito a trovare sino ad ora una vera confutazione) che il mondo non è il composto incoerente di un insieme finito di corpi semplici o composti di cui solo alcuni sarebbero coscienti: il mondo è un unico immenso corpo che coincide perfettamente con un’unica infinita mente, al punto che, come recita una delle proposizioni più celebri, l’ordine e la connessione delle idee coincide con l’ordine e la connessione delle cose. Pensiero e materia sono insomma i due attributi, infiniti, di un’unica sostanza infinita. Le forme che ci sembrano dividere la realtà in una pluralità oggetti distinti e indipendenti sono invece le intensità di un’unica materia indivisibile, proprio come le idee non spezzano l’unità di una mente, ma la articolano e la esprimono.
Allo stesso modo diversità e la pluralità degli io non è quella di oggetti autonomi nel numero e nella sostanza, ma quella di gradi diversi di un unico, infinito flusso psichico universale ed eterno. Ora, questo corpo-mente infinito che assieme racchiude tutto ciò dicui si possafare esperienza e si esprime in essa è Dio. Profondamente influenzato dalla cultura ebraica dei marrani di quei secoli, autore della prima grande critica storica e filologica del testo rivelato e dell’influenza della religione sulla politica, Spinoza non si è accontentato di combattere la teologia: ne è diventato un pirata, un vero e proprio hacker che ha liberato Dio dai pregiudizi antidemocratici ed elitisti dei teologi. Dio non esiste altrove separato dalle cose, è in tutto, ed è la forza con cui ogni cosa esiste. Per questo ogni vera coscienza di sé è anche la coscienza di Dio che conosce se stesso. Poco importa che si tratti di un essere umano, una pianta, una pietra o una brezza che sfiora il nostro viso: tutto pensa e dice io e in ciascuno di questi io Dio vive e si esprime eternamente. Può suonare radicale eppure l’ecologia contemporanea sta provando a pensare esattamente questo: i grandi caposcuola dell’ecologia contemporanea, da Aldo Leopold a Arne Naess hanno spesso confessato la loro vicinanza al panteismo spinoziano. In un simile orizzonte, del resto, non è solo l’arroganza della specie umana rispetto alle altre ad apparire ridicola. Spinoza sembra indicare una via d’uscita anche rispetto alla cultura del conflitto e della divisione che ha paralizzato il dibattito pubblico contemporaneo.
Contro la tendenza che spinge non solo i popoli a rivendicare la propria separazione culturale e politica dagli altri ma anche le più disparate identità sessuali, culturali e religiose ad affermarsi solo attraverso e nel medio del conflitto per contemplare la propria diversità e la propria autonomia, lo spinozismo appare come l’antidoto più efficace. L’inclusione non è un obbligo morale è un legame fisico: proprio perché dentro e attraverso di noi si esprime Dio, l’unica sostanza, siamo abitati e popolati da qualsiasi altra cosa. C’è del nero, del bianco, del femminile, del maschile, del lesbico e c’è anche qualsiasi altra identità in ciascuno dei corpi e in ciascuna delle menti di questo mondo. Siamo tutti divinamente ed eternamente bastardi.