ItaliaOggi, 18 agosto 2020
Orsi & tori
Il recupero di Borsa Italiana e l’indipendenza di Mediobanca sono sì due operazioni diverse, ma riguardano ambedue in maniera importante il futuro del sistema Italia, quindi della possibilità del Paese di rilanciarsi. Borsa Italiana con incluso Mts, il mercato dei titoli di Stato, sta andando verso una soluzione positiva. Il London stock exchange vuole e deve vendere, (essendo ancora in Europa) nel momento nel quale si fonde con Refinitiv e diventa un gigante che per il momento deve rispettare le norme antitrust europee. C’è poi la prospettiva che quando sarà conclusa la Brexit, se non vendesse la Borsa Italiana dovrebbe sottostare a due normative di controllo. Per questo l’affare è vicino alla conclusione, con i termini che qui si possono anticipare. L’operazione prevede che il 50% sia comprato da Euronext, il raggruppamento di borse promosso e controllato dalla Francia, ma l’altro 50% sarà acquistato da una entità costituita da Cdp e dalle maggiori banche italiane, con Intesa Sanpaolo in prima fila. È vero, Lse ha lanciato un’asta, ma è un’asta asimmetrica, perché l’offerta italo-francese sconta il potere di controllo sul mercato da parte di Consob, la quale sa bene che per l’Italia è fondamentale recuperare la gestione del mercato dei listini delle azioni e del mercato dei titoli di Stato. Per questo, nel patto 50 e 50, la gestione operativa sarà italiana e a Euronext sarà lasciata solo la parte amministrativa, con un patto di sindacato che è già a buon punto. E le condizioni poste da Consob sono chiare: 1) garanzie sulla tecnologia, che dovrà essere al massimo livello, quindi inclusa l’intelligenza artificiale; 2) la totale indipendenza gestionale; 3) vertici di alto livello professionale: Raffaele Jerusalmi potrebbe rimanere amministratore delegato anche se lui ambisce a un ruolo superiore, evidentemente in Euronext.La possibilità di riavere almeno a metà Borsa Italiana da parte di operatori italiani è il frutto dei regolamenti che si sovrapporrebbero nel caso in cui Lse non vendesse, ma soprattutto, poiché la borsa inglese ha dovuto decidere di vendere, è stata decisiva la determinazione di Consob a chiedere al governo Conte poteri speciali di interdizione nel caso ci fossero tentativi di operazioni non gradite dall’Italia, l’art. 75 del decreto di Agosto che aumenta appunto i poteri della Consob.
La soluzione con Euronext soddisfa lo spirito e la pratica europeista, quindi è in linea con l’evoluzione del rapporto fra Italia e Francia nella recente battaglia per il varo del Recovery fund. Ma se qui il rapporto con la Francia gioca bene, assai delicato è invece lo stesso rapporto nella vicenda Mediobanca (e di conseguenza Generali) che ha per protagonista Leonardo Del Vecchio, il quale vuole salire fino al 20% nella banca d’affari e di gestione di patrimoni che fu di Enrico Cuccia e che l’ad Alberto Nagel ha modernizzato fino a farla diventare una delle Top 5 banche europee secondo la ricerca indipendente di Citi.
Probabilmente il 24 agosto la Bce darà il via libera a Del Vecchio, che si è impegnato a rimanere un puro investitore finanziario e quindi a non mettere in discussione l’indipendenza di Mediobanca e il futuro italiano di Mediobanca. Le autorità italiane di controllo non si fidano di una dichiarazione che vale per l’oggi ma che può cambiare domani, tenuto anche conto dell’età veneranda di Del Vecchio, nonostante il suo comportamento più che dinamico. Tuttavia, proprio nello spirito europeo e per il rapporto con la Francia, dal decreto di Agosto nella versione bollinata dalla Ragioneria, è stato espulso il contenuto fondamentale dell’art. 64-bis, che di fatto blindava Mediobanca. Ora, pertanto, le soluzioni sono due: o al Senato sarà fatto un emendamento che comunque garantisce il possibile intervento di Consob nel caso di scalata a Mediobanca o comunque di non rispetto a lungo termine degli impegni assunti da Del Vecchio verso Bce, oppure la partita dovrà essere giocata tutta sulla capacità degli azionisti principali di Mediobanca, con in testa il sempre lucidissimo Ennio Doris, di far rispettare a Del Vecchio l’indipendenza della banca d’affari, che da alcuni anni sotto la gestione di Nagel, senza necessità di alcun aumento di capitale, ha prodotto risultati ottimi per gli azionisti, cioè per il mercato che deve (o dovrebbe) sempre avere la meglio sugli interessi di un singolo azionista.
Per capire bene la situazione di partenza occorre vedere come sono gli attuali assetti azionari di Mediobanca. Il mercato, cioè singoli piccoli azionisti e soprattutto investitori istituzionali, ha oltre il 70% del capitale, di cui 1/4 il retail e il resto gli istituzionali; il patto di consultazione animato da Doris ha il 12%, al quale si può teoricamente sommare la quota di Vincent Bolloré e quella che sta diventando fondamentale di Intesa Sanpaolo, senza dimenticare Unipol. In totale gli azionisti di riferimento possono superare o arrivare al 20%. C’è poi la quota del 10% di Del Vecchio. Se Del Vecchio, dopo l’autorizzazione di Bce, salirà fino al 20%, probabilmente lo farà, se non lo ha già fatto, con acquisti sul mercato, che comunque rimarrà maggioritario.
Come mai, con questo assetto, Del Vecchio vuole salire? La risposta ovvia e ingenua può essere appunto quella che anche lui apprezza il lavoro del management e vuole fare un investimento redditizio per la sua holding Delfin.
In realtà, se si guarda ai comportamenti di Del Vecchio non si può non notare una sua fatale attrazione per la Francia. Aveva il controllo di Beni Stabili, una solidissima società immobiliare e l’ha fusa con Foncière des Regions, dando luogo a Covivio, di cui l’intrepido fondatore di Luxottica è sì il maggior azionista con circa il 30%, ma la gestione è sostanzialmente dei francesi e la nuova società è quotata a Milano e a Parigi. Stesso schema per Luxottica, che ha fuso con la francese Essilor, leader delle lenti come Luxottica lo è nelle montature e quindi un’operazione assolutamente razionale, ma che come è noto ha provocato nei mesi scorsi molti problemi per i poteri gestionali nonostante Del Vecchio ne sia presidente esecutivo. Come Covivio la società, che per quanto segue possiamo definire franco-italiana, è quotata solo a Parigi e fa parte del Cac 40, che comprende le 40 società con maggiore capitalizzazione del mercato parigino, e di Euro Stoxx 50 che comprende le 50 società di maggiore capitalizzazione nelle 12 borse controllate da Euronext.
A chi si è permesso di chiedergli come mai questa scelta di spostare l’asse dall’Italia alla Francia, Del Vecchio ha dato una risposta secca: meglio che gestiscano i francesi invece dei miei figli. È naturale che potrà anche smentire questa risposta sibillina, ma l’ha data.
In un certo senso il paradosso è che in queste operazioni Del Vecchio è stato accompagnato da Mediobanca, che è sicuramente la migliore banca d’affari, come dimostra anche la decisione di Carlo Messina di affidare alla banca di piazzetta Cuccia il mandato principale per l’opa di Intesa Sanpaolo nei confronti di Ubi.
A parte i figli (riguardo ai quali la situazione è complessa), e quindi alla decisione di spostare l’asse in Francia, non si possono dimenticare altre due motivazioni, oltre quelle già viste, che possono aver mosso Del Vecchio: un senso di rivalsa verso Mediobanca per la sua volontà di prendere, sia pure in forma di charity, il controllo dello Ieo e quindi del Monzino; un’operazione che gli è stata negata da tutti gli azionisti, alcuni fondatori, dello Ieo, fra cui anche Intesa Sanpaolo e Unipol, erede di Sai. È apparso a tutti insostenibile che una donazione di 500 milioni di euro, quale Del Vecchio voleva fare, gli consentisse di diventare il maggior azionista, sopra al 20%, contro le regole della charity. Ma a spingere Del Vecchio a questa operazione, oltre allo spirito autentico di essere di aiuto a due ospedali straordinari non dimenticandosi di essere stato un Martinitt, c’era anche probabilmente il suggerimento del suo attuale e determinato numero due, Francesco Milleri, che con la sua società di consulenza e di informatica aveva lavorato allo Ieo fino a quando non è arrivato come ad dei due ospedali Mauro Melis. Per alcuni, molte delle ambizioni e volontà di Del Vecchio sono proprio ispirazione e forse di più di Milleri, un manager sicuramente capace con master alla Bocconi e con una borsa di studio intitolata all’ex governatore Donato Menichella alla New York university Stern school of business. Certamente il ruolo di Milleri è destinato a crescere anche per la complessa situazione familiare di Del Vecchio.
Tuttavia, anche se non si possono analizzare le strategie di Del Vecchio senza considerare Milleri e le sue naturali ambizioni, il vero problema per il Paese non è direttamente Mediobanca, per la quale come si è visto esiste già una parità possibile con il fondatore di Luxottica dei soci del patto di consultazione con altri a supporto, per il quale potrà avere un ruolo importante Intesa Sanpaolo; e comunque Del Vecchio dovrà confrontarsi con l’oggettiva situazione di una società in cui la maggioranza è sempre del mercato. Il problema vero e delicato riguarda le Generali, un colosso che deve rimanere parte del sistema italiano a maggior ragione dopo l’acquisizione di fatto anche di Cattolica, una delle pochissime compagnie d’assicurazioni quotate in borsa.
Le Generali sono sicuramente un obiettivo di Del Vecchio-Milleri. Sono almeno tre anni o più che Del Vecchio ci prova. Ci ha provato anche cercando alleanza con Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Benetton, pensando di poter contare sull’appoggio in Mediobanca di Unicredit, che all’epoca aveva il 10% della banca d’affari. Per un po’ soprattutto Caltagirone lo ha seguito, incrementando sopra al 5% la sua partecipazione, mentre il ceo di Unicredito, Jean Pierre Mustier, che aveva avuto già un’azione sanzionatoria in Francia per insider trading quando lavorava in Société Générale, anche se poi se poi le accuse erano cadute in tribunale, e proprio in quel periodo la Delfin era sottoposta a ispezione dalla Consob e anche la procura di Milano aveva avviato un’indagine contro ignoti per i movimenti del titolo Mediobanca. Per tutto questo, Mustier decise di vendere la partecipazione in Mediobanca, anche in coerenza con il progetto di dismissione di asset che aveva iniziato con Pioneer e che è proseguito anche con la vendita di Fineco. Ciò non toglie che, probabilmente, la quota di Unicredito in Mediobanca sia stata recuperata proprio da Del Vecchio.
In questo momento, in ogni caso Caltagirone viene descritto in forte disaccordo con Del Vecchio e le sue mai interrotte ambizioni su Generali per sé o magari per qualche gruppo internazionale, specialmente francese.
Da quando Mediobanca è riuscita a far cambiare lo statuto assegnando potere al consiglio d’amministrazione di indicare larga parte dei consiglieri, certamente ogni tentativo su Generali è più complesso. Ma arrivando al 20% di Mediobanca, se non si fermeranno prima e se in Senato non sarà ripescato qualche potere straordinario per Consob che limiti azioni coordinate e congiunte, Del Vecchio e Milleri potrebbero trovare qualche sponda che li aiuti per Generali. C’è sempre il refrain, per rimanere al francese, che Generali è considerata grandissima in Italia e piccola nel mondo. E che una bella fusione con Axa sarebbe un modo per avvicinare il gruppo francese al super gigante Allianz. E comunque c’è sempre sul mercato anche Zurich, dove il ceo è Mario Greco che di Generali sa tutto essendo stato il capo prima di Philippe Donnet, grande amico e socio di Mustier in una foresta di quercia per fare le barriques, le piccole botti ideali per il vino. Ma mentre Mustier viene descritto come non particolarmente amante dell’Italia, Donnet in Italia sta bene. Non è sicuramente un motivo per dimenticarsi di essere francese, ma certo è un fattore positivo per la crescita organica delle Generali e il mantenimento dell’autonomia del Leone di Trieste.
C’è del resto anche chi ritiene che il risiko a cui stanno dedicandosi Del Vecchio e Milleri, in realtà avrà uno sbocco essenzialmente nella possibilità che Milleri ottenga di essere nominato gestore di tutto il gruppo nel testamento di Del Vecchio, a cui tutti gli italiani augurano sicuramente lunga vita per quanto ha saputo fare con Luxottica nonostante abbia poi spostato l’asse a Parigi. Attualmente in Delfin c’è una sostanziale maggioranza dell’attuale moglie di Del Vecchio e del loro figlio, ma appunto la complessità familiare potrebbe dare spazio a Milleri. A 61 anni, del resto, l’ex consulente, con preparazione internazionale, ha ottenuto traguardi importanti. Se così fosse, probabilmente, dovrebbe dedicare non poco impegno a conservare e valorizzare quanto Del Vecchio ha costruito.