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 2020  agosto 18 Martedì calendario

Chissà perché i grillini odiano il Parlamento

Per Luigi Di Maio, come twittato qualche giorno fa, la storia non si fermerà. Sì, perché la riduzione del numero dei parlamentari per i grillini è una questione di vita o di morte. Il referendum del 20-21 settembre costituisce infatti uno snodo cruciale per realizzare uno dei pilastri delle loro pulsioni antipolitiche. Cioè l’antiparlamentarismo. Un antiparlamentarismo che identifica il parlamentare con il disonesto, con l’approfittatore e con l’arraffone. In sintesi, con il ladro. Del resto, anche dal punto di vista lessicale, la compagine pentastellata utilizza da sempre dei termini che degradano la figura dell’uomo politico. Si pensi solo alla dicitura «taglio dei parlamentari», ormai unanimemente accettata.
Il concetto di taglio indica di per sé un risparmio e ha un’accezione sostanzialmente positiva. Tale espressione segnala che i parlamentari sono semplicemente un costo da abbattere e null’altro. Un peso che grava sui cittadini e che può essere rimosso generando grandi risparmi (anche se Carlo Cottarelli li quantifica attorno a 57 milioni di euro all’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica).
Lo stesso discorso vale per l’immagine della poltrona, cioè lo scranno parlamentare che viene rappresentato come un comodo posto da occupare in modo quasi abusivo da un insieme di privilegiati, che costituiscono una casta separata dai cittadini virtuosi. In estrema sintesi, il quesito referendario, così come proposto dalla propaganda grillina, incarna la lotta tra l’onestà dei cittadini (inclusi i pentastellati) e la disonestà dei politici.
Date queste premesse, risulta quindi necessario e inevitabile ridurre il numero dei parlamentari. Portando alle estreme conseguenze la logica pentastellata sarebbe anche sensato chiudere il parlamento. Così da abbatterne i costi grazie alla rimozione definitiva dei ladri che ne occupano le poltrone.
Tale forma di antiparlamentarismo, oltre a fondarsi su una concezione grezza di parlamento, si basa su una premessa discutibile. Ossia che il problema principale della politica italiana sia il numero degli eletti e non la loro qualità. Insomma, meno politici e meno costi, e non politici capaci. Non è affatto un caso che i grillini abbiano trattato tutto ciò con colpevole superficialità. La questione andrebbe affrontata in modo approfondito e probabilmente intaccherebbe il mito fondativo dell’uno vale uno e dell’onestà fine a sé stessa. Emblematica la disastrosa performance dell’amministrazione Raggi.
Giova infine ricordare che il solo taglio dei parlamentari, che passerebbero da 945 a 600 (alla camera da 630 a 400; e al senato da 315 a 200), pone un serio problema istituzionale. Soprattutto se non dovesse essere varata una riforma costituzionale per mitigare gli effetti sulla rappresentanza. Quindi più che un’opportunità o una riforma, la riduzione del numero dei parlamentari è un rischio. Tale misura risulta infatti un potente mezzo per illudere un paese allevato a pane e gentismo, senza cambiare con un disegno organico e ragionato la Costituzione. Un pasticcio, dunque, ma condito con l’antipolitica più pura ormai apprezzata da buona parte degli italiani.