La Stampa, 18 agosto 2020
Carmelo Bene sul set, genio e litigi
Dice: «Carmelo era un genio» – «Era veramente un incontenibile vulcano d’idee e stargli dietro poteva essere molto stancante» – «Carmelo aveva la sicurezza di sé, sapeva quello che doveva dire e che voleva fare» – «Con Carmelo non esistevano programmi prestabiliti ed era tutto improvvisato» – «Era molto rispettoso dei tecnici e del loro parere».Superfluo dire che «Carmelo» era Carmelo Bene. Chi ne parla con una ammirazione che sconfina nell’affetto è Mario Masini, il direttore della fotografia che con animo picaresco e nella mancanza cronica di soldi rese possibile la realizzazione di Nostra Signora dei Turchi (1968), Don Giovanni (1970), Salomè (1972) e Un Amleto di meno (1973). Sono i quattro film che hanno segnato l’incontro tumultuoso di Carmelo Bene con il cinema, forse la sua sfida a una forma d’arte prima ignorata e poi ripudiata, in un percorso che ha lasciato irrealizzati i progetti su Faust e sulla figura di Giuseppe da Copertino, il santo che si alzava in volo non appena entrava in estasi.Oggi il ligure Mario Masini ha 81 elegantissimi anni ed è considerato un simbolo del cinema sperimentale italiano, quello che ebbe il suo momento di gloria tra gli anni 60 e 70. Nella sua trafficatissima vita ha lavorato con i fratelli Taviani per i film San Michele aveva un gallo e Padre padrone. Nel ventennio 80-90, invaghitosi della pedagogia di Rudolf Steiner, ha abbandonato la macchina da presa per insegnare ai disabili nelle scuole steineriane di Roma e Stoccarda. Col nuovo secolo è tornato all’antico amore e ha ripreso a fare cinema con registi portoghesi e africani.Fu a causa di un incidente che incontrò Carmelo Bene. Masini lavorava con Salvatore Samperi alla realizzazione di Grazie zia, ma alla protagonista Lisa Gastoni non piaceva il suo modo di fotografarla. L’attrice protestò, fece scenate e ne ottenne la sostituzione. Disoccupato, Masini si trovò Carmelo dietro la porta. Come poi andò ce lo racconta lui stesso con I miei film con Carmelo Bene (Damocle Edizioni, pp. 114, € 15), un libro in tre lingue scritto con Carlo Alberto Petruzzi e corredato da fotografie che probabilmente nessuno ha mai visto. Masini ricorda quella lontana esperienza e ci fa conoscere un Carmelo Bene lontanissimo dalla ribalta teatrale, ma desideroso di cambiare il linguaggio del cinema, di creare film che poi non incontrarono il favore del pubblico e anzi, come nel caso di Nostra Signora dei Turchi, premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia, provocarono la rivolta degli spettatori che reclamarono la restituzione del biglietto.Il libro è una specie di diario di lavoro che inevitabilmente finisce col mettere in luce l’incontro tra due personalità diverse ma legate da un’immediata sintonia. Senza una sceneggiatura, senza orari, senza una vera troupe, il tandem Bene-Masini improvvisava una sequenza dopo l’altra e nella foga non considerava le conseguenze del lavorare alla giornata. Appare molto significativo ciò che accadde durante le riprese di Nostra Signora dei Turchi a Otranto e in altri luoghi del Salento. L’assistente di Masini scappò perché non sosteneva il ritmo del lavoro. Se ne andarono anche gli attori Salvatore Siniscalco, che si infortunò a un piede, e Ornella Ferrari, che litigò con Carmelo. Nella scena dei fuochi artificiali, un bengala colpì il palo della luce e tutto il paese rimase al buio. Quando il set si spostò a Marina di Marittima, si stava svolgendo in piazza una festa di paese. Carmelo pensò di sfruttare l’avvenimento. Si fece riprendere mentre fendeva la folla barcollando. La gente ignorava che si stesse girando un film. Vide quel giovanotto stramazzare svenuto e chiamò l’ambulanza. Chiarito l’equivoco, Carmelo fu salvato dai carabinieri, gli stessi che dovettero intervenire in una chiesa sconsacrata per bloccare un gruppo di donne convinte che l’attrice Lydia Mancinelli, ammantata d’azzurro e aureolata mentre fumava una sigaretta, fosse la Madonna. Le donne volevano baciarle almeno la veste.Ma la parte più succosa riguarda forse le zone tecniche, le pagine in cui Masini svela come ha cercato di realizzare le visioni, gli effetti, le luci e i colori che Carmelo intendeva ottenere. Si veda per esempio l’episodio della «soggettiva del morto». Non potendo scavare una fossa dalla quale si potesse riprendere l’esterno, fu costruita un’impalcatura alta un metro ricoperta lateralmente di assi e di teli neri per impedire alla luce di entrare. Sulla sommità fu posata una lastra di vetro su cui furono sparsi terriccio e fiori. Sembrava proprio l’interno di una tomba e Masini, seduto al buio sul passeggino di suo figlio, riprendeva l’esterno e i visitatori come se l’obiettivo fosse l’occhio «vedente» del morto.Magie e azzardi, acrobatismi da spezzarsi il collo, trucchi poveri che però erano capaci di trasformare una piccola stanza domestica nella sala di un castello, incendi fasulli. Il libro somiglia a una corsa in un labirinto di specchi nel quale ogni apparizione, ogni deformazione, ogni spasimo, ogni derisione proviene dalla genialità di un uomo chiamato Carmelo Bene. Per dirla con Mario Masini: «un unicum nella storia del cinema».