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 2020  agosto 18 Martedì calendario

Intervista ai fratelli D’Innocenzo

Il 2020 è l’anno dei gemelli: nel senso, i due gemelli registi Fabio e Damiano D’Innocenzo, romani, 32 anni. A febbraio hanno vinto il premio per la Miglior sceneggiatura al Festival di Berlino, a luglio quello per il Miglior film ai Nastri d’Argento per la regia di Favolacce, il loro secondo film. Insomma, un anno indimenticabile. «E dire che fino a poco tempo fa eravamo degli stalker...», attacca subito, via telefono, Fabio. 
Come, scusi?
Fabio: «Sì, è così. Matteo Garrone lo abbiamo tormentato. Luca Guadagnino si ricordava vagamente le nostre lettere ma anni dopo ci rimproverò perché erano scritte veramente male. Abbiamo mandato mail a tutti i possibili indirizzi di Paolo Sorrentino fino a che abbiamo beccato quello giusto ma non mi ha mai risposto. Scrissi una dichiarazione d’amore all’attrice americana Chloë Sevigny che rispose: What the fuck?!, come dire: Che cazzo vuoi?. Nella mia rubrica alla A ho Affleck Ben e poi il fratello Affleck Casey, entrambi premio Oscar. Non li conosco, ma ho le loro mail». 
E lei, Damiano?
«Io alla A ho Almodóvar Pedro, Ancelotti Carlo e il regista di Boogie Nights e Magnolia Anderson Paul Thomas. Lui però lo abbiamo conosciuto veramente».
Incontri imbarazzanti con i vostri miti?
F – «Con Sorrentino al bancomat. Stavo dietro di lui e avevo ansia da prestazione perché dovevo ritirare 20 euro mentre lui secondo me un milione. Ci siamo guardati brevemente, poi io sono andato via con due pezzi da 10».
Come nasce Favolacce?
F – «Lo scrivemmo nove anni fa. Si intitolava Suburbia in sottotitoli. Un produttore ci disse che eravamo malati. Lui è fallito e noi abbiamo vinto il Nastro d’Argento per il miglior film. Il produttore Domenico Procacci, lui sì ci ha voluto sempre bene, anche se eravamo due screanzati. 
Dove vi trovate ora?
D – «Ad Anzio Colonia in una casetta sul mare. Scriviamo tutto il giorno sia io che la mia ragazza con il cane vicino che dorme. La sera ci raccontiamo i progressi».
F – «Sto a Parigi, al quartiere Pigalle, a due passi dal Moulin Rouge e sono in cerca di cose belle che forse ho trovato».
Amore?
F – «Esseri umani».
Ci raccontate una vostra estate indimenticabile?
F – «Nel 2019 quando giravamo Favolacce. Perché in quel film c’è la summa dei nostri ricordi estivi, soprattutto il suono, la rabbia e il sapore del sesso. E poi anche perché la troupe decise di lavorare con noi anche se c’era uno sciopero delle maestranze. Mettevano da parte giuste rivendicazioni salariali pur di fare quel film. Non lo dimenticherò mai».
D – «Per me l’estate del 2005, quarta superiore. Ero convinto che ci avrebbero bocciato. Poi andiamo a vedere i quadri e c’è quella sfilza grandiosa di 6 che somigliano a Dio. Mi sentivo un miracolato».
Come eravate al liceo?
D – «Lontani dai coetanei, non facevamo parte di nessun branco. Siamo sempre stati romanisti e la giovinezza di un romanista è allucinante sempre circondato da laziali bruttissimi, felici che non vinci. È come essere sempre sdentato».
Pensavo che uno dei due ricordasse l’estate dello scudetto della Roma...
F – «Ma certo! Il 2001, mi feci le meches bionde ed ero veramente bruttissimo».
Quando lo rivincerete?
D – «Tra due anni col nuovo proprietario Friedkin. Lo amiamo già perché ha prodotto The Square nel 2017, Palma d’Oro a Cannes di Ruben Östlund. Viene dal cinema e andremo subito a parlarci appena arriva a Roma».
Che gli volete dire?
F – «Che il calcio a Roma ha bisogno di un’epica e quindi vogliamo subito il ritorno di Francesco Totti e Daniele De Rossi perché sarebbe cinematograficamente giusto. Se Friedkin è veramente uomo di cinema, lo farà».
Com’è il ricordo del lockdown?
D – «Come un sogno vivido ma staccato dalla realtà. Non eravamo mai stati così separati uno dall’altro dalla nascita».
F – «Lo sento ancora sulla pelle, mi ha provocato un grande trauma perché sono stati giorni di riflessione molto profonda e temo di non aver raggiunto un’indipendenza di pensiero sull’argomento. Eravamo inondati di informazioni e questo mi ha confuso. Ci mancava solo che la Lazio vincesse lo scudetto».
Prossimo film?
D – «Sarà un thriller drittissimo, nel senso di puro cinema di genere, e avrà a che fare con il mistero più grande dell’universo che è l’amore. Uomo e donna protagonisti, di circa quarant’anni. Titolo: Il capolavoro. Poi pensiamo anche a un western picaresco con Pietro e Sergio Castellitto insieme».
Siete reduci dai riconoscimenti per la miglior sceneggiatura a Berlino e di miglior film ai Nastri d’Argento. Cosa pensate dei premi?
D – «Sono fondamentali perché ci aiutano a mettere ordine mentalmente».
F – «Voglio vincere. Ai David dello scorso anno con La terra dell’abbastanza, girato nel 2018, rosicammo perché perdemmo da un’opera prima che non era tale (la polemica ci fu perché il vincitore del premio per il Miglior regista esordiente, Alessio Cremonini, aveva già realizzato un lungometraggio prima di Sulla mia pelle, ndr). Sono molto spocchioso, ma se non lo fossi non potrei fare il regista».
Agosto 2021: che farete?
D – «Staremo montando il terzo film per andare a un festival cui ci piacerebbe partecipare perché siamo degli inguaribili romantici».
F – «Starò scegliendo dei vestiti per il prossimo premio. Sempre Gucci, come ai Nastri d’Argento».