Corriere della Sera, 17 agosto 2020
L’eterno ritorno di De Mita
«L’unico pensiero politico che sopravvive è il pensiero popolare. La sinistra, nella sua complessità, non sembra dare indicazioni per il futuro mentre la destra fa fatica persino a individuarlo, un pensiero», dice Ciriaco De Mita. Nell’argomentare dell’ex presidente del Consiglio, che con la sua Prospettiva popolari sarà impegnato nelle regionali campane a sostegno di Vincenzo de Luca, le parole collegate a «pensiero» rappresentano il dieci per cento di quelle pronunciate. Ogni dieci parole, una evoca il «pensiero». Una cifra abnorme. «Ogni azione deve presupporre un pensiero», «chi parla in fretta vuol dire che pensa in fretta e quindi pensa male», «la politica che antepone l’azione al pensiero non è politica», si potrebbe continuare all’infinito. E visto che dalla Campania indiscrezioni di stampa danno per certo l’accordo per una lista comune tra lui, uomo del pensiero, e Matteo Renzi, uomo dell’azione, tocca andare dritto al punto.
Presidente, farà delle liste insieme a Renzi?
«La cosa è falsa. Renzi ha interrotto i rapporti con me da un secolo. Quello che penso io di lui, e anche quello che pensa lui di me, è noto a tutti».
Lei, tra le tante cose, disse di lui che era «la stupidità al governo». Lui disse di lei che pensava solo «alla poltrona». Com’è uscita fuori la storia di una lista insieme?
«Qualche giorno fa è venuto a trovarmi un parlamentare che conosco, Rosato...».
Ettore Rosato, il coordinatore nazionale di Italia Viva.
«Lui. Iniziamo a parlare e Rosato, a un certo punto, mi dice testualmente “io, da adesso, faccio riferimento soltanto al pensiero popolare”. Visto che è la cosa che faccio da sempre anche io, gli rispondo che è necessario aprire un dibattito pubblico su questa prospettiva. D’altronde, come le ho già detto, penso che la sinistra in questo momento non sia in grandi di indicare grandi traiettorie sul futuro e che Salvini, che all’inizio sembrava dominare l’universo, si è rivelato uno che non ha quota».
Si è chiesto come l’accordo per un dibattito pubblico sul popolarismo si sia trasformato nella prospettiva di una lista comune in Campania?
«Se qualcuno mi avesse telefonato per chiedermi se facevo una lista con Renzi, gli avrei risposto come sto facendo a lei. E poi, mi scusi, se mai avessi dovuto trovare un accordo col partito di Renzi, se permette, parlo direttamente con Renzi, non trova?».
Lei ha cambiato idea su Renzi?
«Le mie idee su Renzi sono note e chiare a tutti. E non sono cambiate. Tra l’altro penso che per fare il dirigente di un partito come quello di Renzi non serva granché pensiero. Quindi, come dire, non sono il suo interlocutore giusto come lui non è il mio».
L’esperimento campano di Prospettiva popolari è il primo tassello di un puzzle che punta a riportare su scala nazionale i valori del popolarismo?
«In un certo senso, sì. Vede, il mio agire è sempre stato segnato da un evento successo prima che nascessi. Quando i socialisti lo chiamarono perché li affiancasse nelle rivolte dei braccianti agricoli del biennio 1919-20, don Sturzo era d’accordo con loro sul fatto che le terre dovessero andare ai braccianti. Ma era convinto che il loro modo della rivoluzione fosse il primo passo perché quelle terre tornassero ai padroni. Il punto è sempre quello, prima si pensa e poi si agisce. Una lezione che sembra non valere oggi, da quando la politica non ha un fondamento nel pensiero e si traduce in una mera comunicazione di fatti».
Riconosce in Giuseppe Conte i segni di un nuovo democristiano?
«Vede, i democristiani dell’origine proponevano un pensiero ma non erano furbi. L’insegnamento di De Gasperi era che una riforma mutuata da un pensiero non avesse nemmeno bisogno di essere comunicata. C’era ed era buona così».
Mentre Conte, è il sottotesto, è uomo soprattutto di comunicazione?
«Il suo è un governo senza governabilità, il cui punto di forza maggiore è la mancanza della dialettica. Se la condizione di emergenza permane (il riferimento è al Covid-19 e alle sue conseguenze, ndr), il suo rischia di essere il governo di uno solo. E, per un democristiano, quando uno governa da solo non va bene».
Lei sostiene il centrosinistra. I M5S al centrosinistra si avvicinano.
«Io faccio molta fatica a capirli. Da quando sono nati, da loro non ho visto mai un’analisi; solo delle indicazioni semplificate. La loro organizzazione considera un problema risolto solo quando è stato individuato. Mentre un problema si risolve quando si discute sulla sua natura. Perché togliendolo semplicemente di mezzo, il problema, il rischio è che se ne crei uno ancora più grande».
Come voterà al referendum sul taglio dei parlamentari?
«È un perfetto esempio di quello di cui sto parlando. Il tentativo di dare un riordino al processo democratico non si persegue incidendo sul numero di quelli che decidono. Ma sulle loro funzioni. Una volta che andai negli Stati Uniti, dove il numero degli eletti è decisamente basso, assistetti a una discussione del loro Senato mentre parlavano di cose importantissime come la crisi del blocco austro-ungarico nell’Europa moderna. Cose di cui l’altra camera ovviamente non parlava. C’entrano le funzioni, non il numero degli eletti, in questa discussione. Motivo per cui, anche se con freddezza, voterò No».