La Stampa, 17 agosto 2020
Intervista a Ilenia Pastorelli
Prima di tutto la verità. Poi lo sguardo morbido, diviso tra ricerca di approvazione e irresistibile voglia di scherzare. E poi, ancora, le gambe da fenicottero, l’accento romanesco, la battuta a effetto, l’insofferenza verso tutto quello che appare affettato e formale.
Da Lo chiamavano Jeeg Robot a Non ci resta che il crimine, da Benedetta follia a Brave ragazze, Ilenia Pastorelli, classe 1985, ballerina quand’era piccola, poi modella ed ex-concorrente nella casa del «Grande Fratello», ha guadagnato un posto stabile nel firmamento, non troppo affollato, delle attrici italiane di commedia, belle, ma anche spiritose, sexy e insieme buffe: «Prima di vincere il David di Donatello per Lo chiamavano Jeeg Robot mi hanno rotto tanto le scatole, nessuno riusciva ad accettare il fatto che una ragazza venuta fuori dal "G.F." potesse diventare protagonista di un film. Naturalmente non l’avevo deciso io, c’era stato un regista, Gabriele Mainetti, che mi aveva fatto un provino e mi aveva presa. Era un cliché, ma i cliché, nella vita, bisogna scardinarli. Se fossi stata più fragile avrei potuto seguire quell’onda emotiva, mi sarei depressa, e tutto sarebbe finito lì. Io, però, avevo dentro la sensazione che, in qualche modo, questo lavoro sarei riuscita a farlo. Così mi sono salvata».
Che cosa l’ha guidata nel suo percorso?
«L’importante è non farsi bloccare dalle regole, quando un pittore fa un quadro non sta a sentire nessuno, segue il suo istinto, anche se, magari, gli viene detto che, dipingendo diversamente, raggiungerebbe di sicuro il successo. Ai ragazzi e alle ragazze che vogliono iniziare in questo campo ripeto sempre che bisogna scardinare i paletti, e andare avanti per la propria strada».
Lei ha fatto così?
«Vengo una famiglia normale, penso che non tutti quelli che desiderano diventare attori abbiano i soldi per pagarsi la scuola di recitazione. Per esempio, se una viene da Tor Bella Monaca che fa? Rinuncia in partenza? Per questo ho in mente un progetto, vorrei creare un sito, una piattaforma, su cui i giovani aspiranti attori possano mostrare i loro provini, far vedere quello che sono capaci di fare. Che dite? Me sto a’ allargà?».
E’ stata madrina, a «Forte Village», della terza edizione di «Filming Italy Sardegna Festival», uno dei primissimi appuntamenti dal vivo dopo il lockdown. Lei come ha vissuto quella fase?
«E’ stato un periodo psicologicamente molto difficile, alla fine mi sono resa conto di esserne uscita stanca, ci sono stati momenti in cui ho pensato che non ci sarebbero più state occasioni di aggregazione e di incontro, e questo era molto brutto».
Pensa che il cinema si riprenderà?
«Appena hanno riaperto i cinema, io ci sono andata. E ho pure notato una cosa spiacevole, e cioè che, mentre gli aerei hanno subito iniziato a volare pieni, le sale e i teatri continuavano ad avere un sacco di problemi. Mi sono detta, facciamo gli spettacoli in volo, almeno lì nessuno fa problemi. Insomma, ci sono situazioni contrastanti. In generale mi auguro che le cose stiano rientrando, ma non vorrei che, a ottobre, dopo che ci siamo rilassati, si ritorni indietro, e ci si ritrovi nei guai. Ho avuto anche la sensazione di essere manipolata e pilotata dai media, e questo non mi è piaciuto affatto. Avrei voluto più chiarezza, e ne vorrei di più anche per il futuro. Il cittadino ha diritto di conoscere la verità».
Molti suoi colleghi sono scesi in campo con iniziative, appelli video ed altro. Lei non lo ha fatto, perché?
«Nel mio piccolo ho preferito osservare, restare in disparte, sinceramente non volevo diventare protagonista inutile di una scena così grave. Forse, oltre a rilanciare l’hashtag "iorestoacasa", si poteva fare di più e, comunque, certe volte, si può anche stare zitti. Sempre meglio che elargire consigli dal divanetto di casa».
Ha recitato nel prossimo film di Pif E noi come stronzi rimanemmo a guardare. Come è andata?
«L’ho visto pochi giorni fa e sono rimasta sconcertata. E’ un film che contiene messaggi molto belli, è come se Pif avesse avuto delle visioni, descrive una realtà...come si dice? Distopica? Ecco, una parola che leggo sempre, finalmente la posso usare. E’ una storia ambientata nel futuro, che parla molto di solitudine, un argomento che, secondo me, è stato al centro del periodo di quarantena, ma lo sarà sempre di più, perché la società in cui viviamo ci spinge a essere sempre più soli».
A settembre sarà su un altro set. Che cosa può dirci?
«Il film s’intitola Io e Angela, il regista è Simone Paragnani, c’è anche Pietro Sermonti, io interpreto l’angelo della morte, siamo nel campo della fantascienza e del paranormale, dunque è una bella sfida».