La Stampa, 17 agosto 2020
La nuova alleanza M5s-Pd sotterra le querele
«Ci eravamo tanto odiati». Eppure, l’irresistibile profumo del governo rende possibile ogni cosa. Si possono trascurare due visioni del mondo contrapposte, dimenticare gli insulti e mettere da parte le promesse solenni di non allearsi mai, l’uno con l’altro. Un esercizio nella teoria sfinente e nella pratica leggero come uno sbuffo: «Erano altri tempi», «son cambiate le condizioni», «lo facciamo per un bene superiore». Resta però nei resoconti parlamentari e negli archivi il ritratto vivido di un’era politica di scontri feroci, tra Pd e Movimento 5 stelle, durata 10 anni. Dalla tessera del Pd negata a Beppe Grillo, che nel 2009 vuole contendere la segreteria a Pierluigi Bersani, fino al «partito di Bibbiano» con cui Luigi Di Maio apostrofa i Dem nel luglio dello scorso anno. Nel giro di pochi mesi, tutto viene sotterrato. Persino le decine di querele per diffamazione che i due partiti si sono scambiati in un’interminabile partita di tennis. Per provare a difendere il potere ottenuto. E per conquistarne altro, insieme.Gli anni del renzismo sono quelli più duri, he incancreniscono i rapporti tra le due forze, ma tutto può essere ribaltato. Lo dimostra proprio Matteo Renzi, che prima delle elezioni del 2018 dice a Di Maio di essere «diventato il capo del partito degli impresentabili e degli ex onesti». Accusa che per altro viene ricambiata dal capo politico grillino. E quello stesso Renzi, un anno e mezzo più tardi, con gli stessi ex onesti e impresentabili, dà l’impulso decisivo alla nascita dell’esecutivo giallorosso. Lo fa superando agilmente anche le dichiarazioni dei due leader, Di Maio e Zingaretti, che fino al giorno prima si giuravano odio eterno. «Non voglio avere nulla a che fare con il partito di Bibbiano», attaccava Di Maio nel luglio del 2019, attirando su di sé le ire e le querele del Pd. «Non intendo favorire nessuna alleanza o accordo con il Movimento 5 stelle», aveva detto Zingaretti pochi mesi prima, a febbraio, durante la convention di partito. Adesso vorrebbero lavorare insieme persino nelle grandi città. E Grillo è il primo sponsor di quest’intesa, nonostante nel 2016 tuonasse che «il Pd ha amministrato Roma con Mafia Capitale».L’opera di rimozione è rapida. Sembrano un ricordo sbiadito le pretese di streaming intorno a cui si consumavano i primi scontri tra i due schieramenti. Quando il Movimento entra in Parlamento, nel 2013, il faccia a faccia inaugurale davanti a una webcam è quello tra Pierluigi Bersani e i due capigruppo grillini, Vito Crimi e Roberta Lombardi. Un tempo in cui, dopo un discorso fatto di buone intenzioni e programmi di governo, il segretario del Pd viene gelato dall’irrisione lapidaria di Lombardi: «Mi sembra di stare in una puntata di Ballarò». Del successivo incontro in streaming, un anno dopo, tra Renzi e Grillo, rimane lo sfottò urlato dal premier contro il comico: «Esci da questo blog, Beppe». Poco altro. Da lì sarebbero esplose le ostilità, in un continuo crescendo, tra soprannomi insultanti – «l’Ebetino» – e veleni stillati dai Dem sui «beceri populisti», gli «incompetenti», i «fascisti».Il Pd si trasforma ben presto nel nemico numero uno del grillismo, ma il sentore di un rapporto complicato c’è ancor prima dell’ascesa di Renzi. È gennaio 2014, un mese prima del passaggio di consegne con Enrico Letta, quando nella sala delle riprese televisive all’interno di Montecitorio, mentre gli operatori distratti armeggiano tra microfoni e cavi, Alessandro Di Battista e l’allora capogruppo Pd Roberto Speranza sfiorano la rissa: «Non ti vergogni a votare con un condannato? Tagliati lo stipendio», gli ripete Di Battista puntandogli l’indice sul petto. «Non mi mettere le mani addosso. Non sai cosa sia la democrazia», ribatte a muso duro Speranza. Sono anni di soldi finti lanciati sui banchi del Pd, prima alla Camera nel 2015 e poi di nuovo in Senato, nel 2017, mentre si discuteva il decreto per il salvataggio delle banche venete. E gli anni di Paola Taverna, che nel luglio del 2015 urlava sguaiata ai senatori Pd: «Mafiosi, schifosi, siete delle merde. Ve ne dovete andare. Dovete morire». Nulla di estemporaneo. Eppure è lei, oggi, uno dei più convinti sostenitori dell’alleanza con i Dem. Cosa può essere cambiato?