La Stampa, 17 agosto 2020
Da Stasi a Misseri, i colpevoli irriducibili
L’ergastolana Sabrina Misseri ogni giorno in quest’afa che non si spezza, si sveglia nel carcere di Taranto con una speranza. A difesa, d’istinto, l’allontana sebbene possa cambiarle la vita, toglierla quindi da quel budello infame, liberarla dalle catene. Fuori dalla cella. E magari sogna un tuffo, come ai vecchi tempi, quando in questi giorni d’arida estate salentina si lasciava casa e tutti al lido, in spiaggia, con i thermos, le borse frigo, le corse in mare, tra schizzi e risate. La speranza di Misseri ha il volto di un uomo che si chiama Giovanni Buccolieri, è il fioraio del giallo che per storia, interpreti e movente nessun sceneggiatore avrebbe mai potuto scrivere: il giallo di Avetrana, l’omicidio di Sarah Scazzi, cugina di Sabrina. Buccolieri disse di aver assistito al sequestro di Sarah, fornì particolari per poi ritrattare dopo due giorni e dire che era stato solo un sogno. «Ci sono persone che conoscono la verità e lui potrebbe avere un rigurgito di orgoglio e di coscienza – conferma il professor Franco Coppi, difensore della Misseri–, il fioraio è ancora oggi una persona misteriosa… Se parlasse ci sarebbero certamente i motivi per presentare una richiesta di revisione». Quest’ultima parola esce tre note sotto nell’eloquio dotto del giurista, non certo per pudore professionale ma per consapevolezza dell’enormità che questa miccia andrebbe a detonare. Coppi è il cassazionista per eccellenza e in vita sua quasi mai si è spinto a utilizzare questo strumento che il codice prevede. Si tratta della lettera c) dell’art. 630 del codice di procedura penale, che prevede testualmente un caso assai particolare: «Se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto» si «rivede il processo anche dopo la Cassazione», si riapre il procedimento, si celebra un nuovo appello. E si riparte. «Negli anni diversi miei clienti condannati – ricorda Coppi – mi sottoponevano elementi per chiedere la riapertura del processo ma dopo averli esaminati, li ho sempre scoraggiati perché per la revisione ci vogliono motivi eccezionali. Certo, per Sabrina Misseri è diverso, lei è profondamente innocente. Questo caso rimane un mio cruccio. Il mio terrore è morire senza riuscire a dare giustizia a questa ragazza».
A 992 chilometri più a nord dalle sbarre di Taranto, in un’altra casa di reclusione, questa volta a Bollate, alle porte di Milano, Alberto Stasi, assassino della fidanzata Chiara Poggi, da pochi giorni ha saputo che la sua richiesta di revisione del processo che lo vede condannato definitivamente per l’omicidio di Garlasco, ha subito una prima risposta negativa. La corte d’Appello di Brescia ha infatti rigettato la richiesta di sospensione dell’esecuzione della pena ritenendo che, allo stato, sulla base di quanto allegato dall’istante, non ci si trovi in presenza di una situazione che renda verosimile l’accoglimento della domanda di revisione e la conseguente revoca della condanna. In altre parole la revisione permette di chiedere in parallelo di interrompere la detenzione e riconquistare subito la libertà se i giudici ritengono seri gli elementi sottoposti. E per un ergastolano o condannato a 16 anni come Stasi è un’ipotesi che diventa irresistibile. Invece, è arrivata la doccia fredda: deve rimanere dentro. «La Corte di Appello – ricorda Guido Rispoli, procuratore generale del tribunale, – si è invece riservata la decisione sull’ammissibilità dell’istanza di revisione che ove accolta aprirebbe le porte ad un giudizio di revisione avanti alla medesima Corte. Questo avverrà a conclusione della disamina di tutti gli elementi probatori addotti dalla difesa in comparazione con gli elementi probatori emersi e valutati nel giudizio di merito, nelle sue varie fasi e gradi».
Quindi a settembre i giudici dovranno pronunciarsi sull’ammissibilità della domanda per Stasi, ma, appunto, non è solo per lui. Già si annuncia un autunno ricco di sorprese per i grandi gialli che se da una parte sono tutti conclusi con sentenze definitive per gli assassini, dall’altra si registra un’inconsueta corsa all’istanza di revisione, come a introdurre un tempo supplementare della giustizia italiana. Come abbiamo raccontato su queste colonne, da Massimo Bossetti, omicida di Yara Gambirasio, a Rosa e Olindo, autori della strage di Erba, da Michele Buoninconti, il vigile del fuoco che uccise nell’astigiano la moglie Elena Ceste, ad Antonio Logli, assassino della povera Roberta Ragusa, mai ritrovata, tutti scartabellano gli atti processuali alla ricerca della virgola fuori posto che dia l’occasione per ripartire da zero, arruolando investigatori, biologi, genetisti, esperti. Alcuni sono più avanti (come per Garlasco ed Erba), altri quasi pronti, come per Bossetti. Insomma, mai la richiesta di revisione è stata così contagiosa. I motivi sono diversi e tutti corposi. Di certo, è significativo come ormai nella giurisprudenza della Cassazione si siano via via allargate le maglie, come osserva Rispoli: «La giurisprudenza della Cassazione patrocina una interpretazione sicuramente estensiva – sottolinea il procuratore generale – e afferma nelle sue più recenti pronunce che per prove nuove rilevanti ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente». Insomma non solo il caso scolastico del nuovo testimone oculare, finora sconosciuto, che indica un assassino diverso dal condannato fa riaprire il processo, ma anche prove non valutate, sempre che queste non siano state «dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice». Questa apertura verso le «prove non nuove» quindi «preesistenti ma non acquisite o acquisite ma non valutate adeguatamente» come sottolinea sempre Rispoli determina «la frequenza delle istanze di revisione presentate dai difensori dei condannati che comprensibilmente cercano di sfruttare le maglie più larghe offerte per via interpretativa da tale istituto processuale». Una linea garantista che raccoglie favori nella magistratura:
«Condivido la lettura normativa estensiva sostenuta dalla Corte di Cassazione – sostiene Rispoli –. Anche se sono un pubblico ministero da più di trenta anni il pensiero che ci possa essere un innocente in carcere continua a farmi raggelare il sangue nelle vene». Ma allora bisogna cambiare la legge? «Non credo ci sia bisogno di un intervento legislativo – risponde l’ex procuratore capo di Torino Armando Spataro – per modificare la norma che viene applicata con criterio. Del resto, se fossero effettivamente aumentate le istanze di revisione, lo sarebbero proporzionalmente anche le dichiarazioni di inammissibilità e rigetto». Spataro cerca poi anche altre cause: «Non conosco i dati statistici quindi non so se quantitativamente sono aumentate le istanze di revisione. Di certo la spettacolarizzazione del processo può produrre queste conseguenze. Si crea una tensione emotiva con la speranza di rivedere il verdetto secondo i desiderata del condannato o delle parti offese e non secondo prove inoppugnabili sopraggiunte». In questa direzione si erano sollevate negli ambienti giudiziari critiche alle scelte del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che aveva autorizzato le interviste a Rosa e Olindo. Ma Spataro non è d’accordo: «Non si può pensare che l’autorizzazione a un colloquio-intervista con un detenuto definitivamente condannato – debba essere concessa solo in caso di confessione della responsabilità del detenuto. Rileva invece l’interesse pubblico per la vicenda che andrebbe dimostrato». Ovvero ci dovrebbe essere attesa per quanto potrebbe affermare un ergastolano che nega la giustizia inflitta. Ma c’è il rischio che qualche avvocato in cerca di pubblicità magari forzi la situazione presentando istanze di revisione? «Ci può essere la tendenza a enfatizzare il proprio nome e ruolo – sottolinea Spataro – attraverso comparsate in tv o sui giornali ma è un vizio che riguarda anche molti pubblici ministeri che tendono ad esaltare il proprio ruolo. Ma i Pm e i giudici sono uomini di legge, sono chiamati a ricostruire la verità non a scrivere la storia del paese o a proporsi come eroi solitari, unici difensori del bene». «In realtà – replica Coppi – un difensore ha sempre speranza di trovare qualcosa per ribaltare una sentenza soprattutto d’ergastolo. Fino all’ultimo si coltiva la speranza».