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 2020  agosto 17 Lunedì calendario

Libano, i conti all’estero di Diab

Otto mesi dopo aver assunto l’incarico di premier Hassan Diab si è dovuto dimettere lunedì scorso. Probabilmente anche senza la gigantesca esplosione al porto di Beirut il suo esecutivo aveva i giorni contati. “La corruzione”, ha detto l’ingegnere informatico ed ex ministro dell’Istruzione in governi passati, “è più grande dello Stato”. Non ha nominato nessuno dei meccanismi di corruzione a cui si riferiva ma sono ben noti in Libano, leader politici, alti funzionari bancari, magnati, affaristi, amici e amici degli amici. Il sistema nel suo insieme. Così come il porto di Beirut, una delle aree più corrotte del Paese dei Cedri che finanziava mafiosi e politici. Il governo vedeva solo il 40% delle sue entrate nonostante ne fosse il proprietario.
Quando Diab, un sunnita senza partito ma sostenuto dal Partito cristiano del presidente Aoun e dagli Hezbollah, venne nominato promise una stagione di riforme e un nuovo stile di governo. Venne scelto a dicembre 2019 dopo le proteste di piazza avevano travolto Saad Hariri, che voleva tassare luce, acqua e persino i messaggi WhatsApp. Hariri, premier per sei anni, è uno degli uomini più ricchi del Libano erede di quelle immense fortune che il padre Rafik – assassinato nel 2005 – aveva messo insieme nel ramo delle costruzioni in Arabia Saudita. Ma come accade per molti altri magnati libanesi le fortune di Hariri non sono nelle banche libanesi ma in quelle caraibiche, alle Bahamas e nelle Antille olandesi. Da subito il professor Diab, con la pettinatura sempre in ordine e un colore nero di capelli che non esiste in natura, ha dovuto affrontare cori di critiche ma nessuno poteva immaginare la sua improntitudine. Adesso si scopre che dopo la sua nomina a premier è sorto un conflitto con l’American University of Beirut dove insegnava. Ha intrapreso un’azione legale contro la Aub per i conteggi relativi alla sua liquidazione da professore. Diab vuole che gli sia pagata in dollari e su uno dei suoi conti aperti all’estero. Una mossa che insulta i normali cittadini libanesi a cui da mesi dalle banche è vietato l’accesso ai loro conti in valuta estera a causa della crisi economica. Una soluzione alla libanese: due pesi, due misure.