la Repubblica, 15 agosto 2020
Il tunnel miracoloso dell’elettrotecnico
Dunque è un «ponte sottomarino» o meglio un tunnel sotto lo Stretto – l’idea geniale che ha conquistato Giuseppe Conte, il «miracolo di ingegneria» che il governo vuole mettere dentro il pacchetto del Recovery Fund. E sembra l’uovo di Colombo. Perché i No-Ponte non potranno contestare un ponte invisibile. Gli scettici smetteranno di agitare il pericolo che il vento butti giù tutto. Gli animalisti festeggeranno lo scampato pericolo per la migrazione dell’albanella pallida. E i gelosissimi custodi del panorama siculo continueranno a vedere il mare delle cartoline. Sembra. Ma è davvero fresco, l’uovo miracoloso del «ponte sottomarino»? Chi l’ha trovato? E soprattutto: cosa c’è dentro?
Cominciamo dall’ingegnere che l’ha depositato sul tavolo del governo, dall’uomo che – se l’opera venisse realizzata – passerebbe alla storia come l’uomo del ponte. O meglio: l’uomo del tunnel. Si chiama Giovanni Saccà, ha 68 anni e naturalmente è un ingegnere. Ma non ha mai progettato un ponte. Nemmeno una casa, veramente, e nemmeno una pensilina. Perché è un ingegnere, sì, ma elettrotecnico. Che prima di andare in pensione ha fatto una lunga carriera nelle Ferrovie, dove si occupava di impianti elettrici e sistemi di segnalamento. «Però ho lavorato alla progettazione di tralicci» ha rivelato ad Antonio Fraschilla.
Sarà perché è nato a Messina, sarà perché è stato per tutta vita un ferroviere, ma l’ingegnere dei tralicci deve essersi convinto che toccava a lui rispondere all’imperativo che nel 1876 dettò Giuseppe Zanardelli, il primo politico di sinistra a voler congiungere l’isola con la penisola: «Sopra i flutti o sotto i flutti la Sicilia sia unita al Continente». Così il 4 luglio dell’anno scorso, a un convegno a Montecitorio, ha esposto la sua idea: «Si chiama Submerged Floating Tube Bridge». In pratica, un tunnel a mezz’acqua, quattro gallerie ancorate al fondale con dei tiranti d’acciaio. «Lo stanno facendo in Norvegia».
Tre mesi dopo, però – era il 20 ottobre – all’università e-Campus di Bari ha confidato che gli era venuta un’idea migliore: un altro tunnel a mezz’acqua, però ancorato a una fila di colonne poggiate sul fondale. «L’hanno studiato in Svizzera». E siccome lui è uno che non smette mai di pensare, il mese successivo ha spiegato sulle pagine di «Sicilia in treno» la sua idea numero tre: un altro tunnel a mezz’acqua, ma stavolta appeso a una serie di pontoni galleggianti. «Come in Scandinavia».
Poi un giorno gli è arrivata la telefonata che aspettava da una vita. L’ha chiamato il viceministro delle Infrastrutture, il grillino Giancarlo Cancelleri. Il quale non è un ingegnere – è solo geometra – però ha ideato in Sicilia la più grande opera pubblica realizzata dai pentastellati con il taglio dei loro stipendi: una trazzera di un chilometro nelle campagne di Caltavuturo, pomposamente battezzata «via dell’Onestà». Al viceministro, il vulcanico ingegnere ha rivelato un’idea ancora più brillante delle altre. La numero quattro. Scavare un tunnel sotto il fondale, 290 metri sotto il livello del mare. «L’hanno realizzata in Turchia». Una galleria sottomarina. Pensata non originalissima, certo. Innanzitutto perché ricalca il progetto steso nel 1870 da un giovane ingegnere piemontese, Alberto Carlo Navone, che già 150 anni fa immaginò «un tunnel sottomarino da realizzarsi tra Villa San Giovanni e Ganzirri». E poi perché somiglia alla «galleria sotterranea» che la Girola Costruzioni propose nel 1970 al concorso internazionale per l’attraversamento stabile dello Stretto. Ma Saccà è convinto di averla perfezionata. «Funzionerà» ha garantito. Cancelleri è entusiasta: «Completeremmo il corridoio Berlino- Palermo, regaleremmo la metropolitana a Messina e a Reggio e l’opera sarebbe al sicuro dai venti e dai terremoti fino a 7,5 gradi Richter, a differenza del ponte».
Già, il ponte. Che fine ha fatto il ponte? È stato bocciato? No, il progetto è sempre lì, messo a punto dallo stessa società di ingegneria – la danese Cowi – che ha disegnato altri 34 ponti sospesi in tutto il mondo, dalla Cina alla Svezia. Ma quella del ponte, lo sappiamo, è una storia complicata. Cinquant’anni fa, quando il concorso internazionale del 1970 premiò sei progetti – cinque ponti sospesi e un tunnel a mezz’acqua – sembrava che il sogno di Zanardelli stesse per realizzarsi.
E invece passarono 26 anni, prima che Romano Prodi – già fervente sostenitore del ponte da presidente dell’Iri – lo inserisse nel suo programma di governo come «priorità nazionale ed europea». E ne trascorsero altri cinque, prima che il governo Berlusconi desse il via al progetto preliminare, riaccendendo le speranze di tanti siciliani. A cominciare da Andrea Camilleri, che allora rivelò di essere stato «da sempre favorevole alla costruzione di quel ponte che riuscirebbe finalmente ad eliminare questa maledetta o benedetta sicilitudine, quel senso di isolamento e di solitudine nel quale molti di noi si sono trovati senza desiderarlo».
Ma anche il papà di Montalbano sapeva che «ad alcuni l’unione di due terre separate dal mare sembrerà un sacrilegio, un’offesa, una ferita alla sacralità dell’acqua». E infatti, contro il ponte, nacquero subito i No-ponte, agitando il rischio dei terremoti, la furia dei venti, il danno al panorama, i tentacoli della mafia, il turbamento dell’ombra sui delfini e persino il disorientamento dell’albanella pallida (quel rapace migratore che una volta l’anno passa proprio lì, tra Scilla e Cariddi).
E così l’Italia da vent’anni è divisa in due, tra chi vede nel ponte il meraviglioso futuribile che si realizza e chi vi legge solo le manie di grandezza di Mussolini, di Craxi, di Berlusconi e di Renzi. Da qui un percorso a zigzag, con Prodi che nel 2006 fa marcia indietro e retrocede il ponte a «opera non prioritaria», Berlusconi che nel 2008 lo ripesca e dà il via ai lavori e Monti che nel 2012 blocca tutto, mettendo in liquidazione la società Stretto di Messina, perché con lo spread a quota 574 l’Italia indebitata non può permettersi di spendere 8 miliardi e mezzo per un ponte.
Nel frattempo però i fondi degli investitori esteri erano stati raccolti, gli studi sui terremoti, i venti e le oscillazioni erano stati completati, i collaudi dei materiali erano stati eseguiti, i lavori preparatori erano iniziati, e per un anno intero un campo di calcio calabrese era stato occupato dai radar degli studiosi svizzeri incaricati di contare le albanelle pallide che migravano. Insomma, quando arrivò lo stop di Monti erano già stati spesi 350 milioni, per i quali è ancora in corso un contenzioso giudiziario tra lo Stato e la Stretto di Messina.
Ma il progetto è ancora lì. Basterebbe tirarlo fuori dal cassetto. Eppure Conte, Cancelleri e la ministra De Micheli preferiscono ripartire da zero. Con il tunnel sottomarino. Che però, come lo stesso Saccà ha spiegato a Cancelleri, non sarà un’impresa semplice. Bisognerà perforare il fondale dello Stretto non una ma sei volte (due per i tunnel esplorativi, due per quelli ferroviari e due per il traffico automobi-listico). E le gallerie dovranno avere percorsi e lunghezze diverse, perché i treni ad alta velocità non possono superare una pendenza superiore al 15 per mille, mentre auto e Tir possono affrontare senza problemi salite e discese anche più ripide. Per farla breve, i tunnel ferroviari dovranno essere di 34 chilometri e quelli per le automobili di 16. A 290 metri sotto il mare, dove certo le raffiche di vento non saranno un pericolo, i delfini e gli uccelli migratori non si accorgeranno di nulla, ma resterà il punto interrogativo numero uno: e se arrivasse una bella scossa sismica, proprio tra le due città che nel 1908 furono rase al suolo dal terremoto? Saccà e Cancelleri giurano che tutto è stato calcolato. «Macché – scuote la testa il professor Alberto Prestininzi, che da quando aveva la cattedra di Rischi geologici alla Sapienza è considerato in questo campo il maggior esperto italiano – il rischio sismico sotto lo Stretto è talmente elevato che solo un pazzo farebbe una galleria a quella profondità. E infatti quando il Comitato scientifico nominato dal governo esaminò le 12 proposte sul tavolo, le prime a essere scartate furono quelle di tunnel sottomarini».
Non sarà che il governo preferisce la soluzione meno costosa? Saccà, l’ingegnere dei tralicci, ha già fatto i conti: «Un miliardo e mezzo per il tunnel stradale e tre miliardi per quelli ferroviari. Più le opere accessorie. In definitiva l’importo sarebbe simile a quello previsto per il ponte». Dunque bisognerebbe ricominciare daccapo, mettere in conto il rischio di una catastrofe e spendere alla fine la stessa cifra. Forse allora sarebbe giusto che il governo spiegasse agli italiani (e all’Unione europea che dovrà tirar fuori i miliardi) perché sta scartando a priori quella soluzione già pronta per l’uso che tiene chiusa a chiave nel cassetto, quella sfida all’impossibile che secondo Camilleri che renderebbe la Sicilia «meno isola, meno orgogliosa e forse meno malinconica»: il ponte sullo Stretto.