la Repubblica, 15 agosto 2020
In Libano Hezbollah comanda con scuole e ospedali
MAROUN AL RAS (SUD LIBANO) Lo Stato di Hezbollah finisce qui, nel Sud del Libano, nel territorio di questo piccolo comune sciita. Lungo le dolci colline pietrose che scivolano verso la stradina di terra e i reticolati in basso. Quella stradina è il confine di Israele. Le serre e i campi dal disegno elegante, coltivati con ordine e dedizione dagli agricoltori israeliani di Avivim.
Sul cucuzzolo di questa collina di 911 metri c’è il “parco dell’Iran”, un’area celebrativa finanziata da Teheran per ricordare le guerre contro Israele. Da qualche parte, tutto intorno, ci saranno i sensori di rilevamento e magari anche le armi pronte ad essere utilizzate in una nuova guerra con Israele. Così come a distanza si vedono le postazioni e le torri di comunicazione dell’esercito israeliano.
Da questa parte del confine, quella di Hezbollah, non ci sono però soltanto armi e miliziani armati. C’è un’organizzazione classificata terroristica da Stati Uniti e da molti altri governi, che parallelamente offre mille servizi ai suoi cittadini: il governo dei comuni, la sanità, la polizia, i vigili del fuoco. Il primo segnale è la sanità. A Bint Jbail, il capoluogo della contea, 14 mila cittadini e due ospedali: quello dello Stato libanese, e quello della “El Haya Sohia Islamyia”, l’Organizzazione sanitaria islamica, la Ong medica di Hezbollah. L’ospedale è dedicato a “Salah Ghandour”, c’è il suo ritratto all’esterno: era un miliziano di Hezbollah che si fece esplodere contro un gruppo di soldati israeliani. Un “martire” come li chiamano loro.
Mohammed Suleiman, 50 anni è il direttore dell’ospedale: ha studiato a Mosca per 20 anni, da 12 mesi è il coordinatore. «Il nostro impegno principale? Lo vede da solo, come in tutto il Libano in questi mesi è stato il Coronavirus, siamo diventati un centro di coordinamento per la provincia, abbiamo creato un primo centro di cura per i contagiati, fuori dall’ospedale per non contaminare nessuno, e se serve siamo pronti ad aprirne altri 2». Nell’ospedale di Hezbollah ci sono 2 sale operatorie, 42 letti, 3 di terapia intensiva. Ci lavorano a rotazione 90 medici, molti arrivano da Beirut: quasi tutti volontari, lavorano nel Sud come secondo impegno dopo quello nella capitale.
L’orgoglio dell’ospedale di Hezbollah è la macchina per la coronarografia e la sala operatoria per l’emodinamica, gestita dal dottor Hassan Skafi, il cardio-chirurgo: è l’unico centro in tutto il Sud, non c’è nulla del genere negli ospedali pubblici, con le offerte dei libanesi e i fondi degli iraniani, Hezbollah mantiene alto il suo livello di popolarità.
Arrivando da Beirut, attraversando Tiro e Sidone e le campagne rigogliose (in Libano coltivano anche banane, i campi sono di un verde smeraldo fiammeggiante), abbiamo visto ovunque due segnali: le bandiere gialle, i poster con i volti dei “martiri” di Hezbollah. E quelle verdi di Amal, l’altro movimento sciita, le foto del loro leader storico Nabih Berri, da 30 anni presidente del parlamento. Sono moltissime, insospettabile che Amal sia ancora così presente fra la popolazione. Ma uno scita che ci accompagna am mette chiaramente: «Con gli ospedali, con le scuole, con l’assistenza che fa anche grazie ai soldi che arrivano dall’Iran, Hezbollah sta mettendo da parte Amal, molto di più che con il suo stesso esercito e con la milizia».
Alla periferia di Beirut, nella sterminata area di Dahie, c’è un altro esempio dello “Stato” di Hezbollah. Questa è l’area bombardata con forza nel 2006 dagli israeliani perché nasconde i centri di comando militari di Hezbollah. Dahie è composta da 4 municipi: Gobeyri, Hadat, Hret Hreik e Borj al Barajneh. In quest’area immensa c’è di tutto, dall’aeroporto, ai campi profughi palestinesi di Chatila e di Borj. Hezbollah è in controllo totale, con Amal che fa da partito-ancella.
Il sindaco di Gobeyri si chiama Maan Mounri Khalial, 49 anni, laureato in informatica, eletto all’unanimità dal consiglio comunale di 21 consiglieri in cui Hezbollah ha la maggioranza assoluta. «Il 4 agosto quella enorme bomba al porto era tanto forte da sembrare molto più vicina. I pompieri hanno mandato subito delle motociclette per capire cosa fosse successo, e hanno scoperto che il disastro era al porto. Dalle 4 del mattino con 115 impiegati del comune eravamo tutti lì, abbiamo lavorato su turni fino al giorno 11 e adesso stiamo tentando di riprendere il lavoro bloccato qui da noi».
Hezbollah è un partito molto polarizzato nella vita politica libanese, per non parlare dello scontro con Israele: come governa un sindaco del gruppo? «I consiglieri con cui lavoro sono sostanzialmente espressione delle famiglie della città. Sono espressione di una comunità di 250 mila persone che chiede di essere amministrata, che chiede servizi. Io faccio questo, lavoro al meglio per i miei cittadini: il traffico, la polizia urbana, le strade da asfaltare, i campi profughi dei rifugiati palestinesi e anche siriani, i depuratori che non ci sono… non faccio politica a livello globale, amministro».
Un altro che “non fa politica” ma spegne incendi è Hussein Karim, 47 anni, il capo dei vigili del fuoco di tutta Dahie, naturalmente i pompieri di Hezbollah, perché ci sono anche quelli dello Stato libanese, molto più inefficienti. «Ho studiato da elettricista, poi da 27 anni sono diventato pompiere: con l’assenza dello Stato in questa parte della città abbiamo dovuto fare di tutto. Corsi di istruzione e aggiornamento, con istruttori da Francia e Gran Bretagna. Abbiamo comprato tutti i nostri camion dalla Iveco: il loro general manager per il Medio Oriente ha detto che l’allestimento che abbiamo chiesto è uno dei più razionali ed efficienti nella regione. Il 4 agosto? Siamo accorsi in forze: abbiamo mandato prima 2 motociclette-staffetta, lo facciamo sempre per capire dove sono gli incendi o magari le autobombe come quelle che faceva esplodere l’Isis».
Sulla fiancata dei camion rosso- Ferrari c’è stilizzato il simbolo dei pompieri di Hezbollah. I pompieri, i medici, i sindaci di uno Stato che continua a crescere dentro lo stato libanese.