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 2020  agosto 14 Venerdì calendario

La guerra italiana alla Francia

«Qui a Costigliole ho assistito, cara mamma, a cose commoventi, son due giorni che colonne di profughi provenienti dai vicini paesi dei confini… vengono man mano mandati via sul treno», scrive il 13 giugno 1940 l’alpino Vincenzo Gonella di Ceva. Di cosa si tratta? Tre giorni prima Mussolini ha annunciato l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania contro Francia e Gran Bretagna. Gli abitanti dei paesi di frontiera devono lasciare le loro case.I prefetti assicurano che lo sfollamento sta avvenendo in un clima di «composta rassegnazione e comprensione». Ma i militari che stanno andando a combattere in Francia hanno un’impressione molto diversa. La guerra contro la Francia è come un pugnale piantato nel cuore: per gli aostani, i torinesi, i cuneesi, la nazione confinante è sempre stata un punto di riferimento.Sono numerosissimi gli italiani emigrati che lavorano a Parigi, nelle campagne della Provenza, nelle miniere del Nordest. Intanto, insieme alle zone di frontiera, anche Torino dopo essere stata bombardata l’11 giugno si svuota della sua popolazione. Ed è proprio in Piemonte che gli italiani cominciano a prendere distanze dal regime in concomitanza con l’inizio dello scontro armato: lo racconta Gianni Oliva ne La guerra fascista. Dalla vigilia all’armistizio, l’Italia nel secondo conflitto mondiale» (Mondadori, pp. 434, € 24).È un unicum nel panorama storico questa bella e complessa sintesi di Oliva che affronta gli anni dal 1940 al ‘43, dalle campagne militari alle dolorose vicissitudini dei civili. A ottant’anni dall’inizio del conflitto mondiale, Oliva ricostruisce il periglioso percorso politico di Mussolini tra ostacoli quasi insormontabili, come le scelte accelerate che gli imponeva la marcia armata della Germania di Hitler, l’impossibilità economica di attrezzare l’esercito e i proclami guerrafondai con cui aveva inondato gli italiani e a cui doveva tener fede. Particolarmente dense e originali le pagine che Oliva dedica al ribaltone del 25 luglio ’43 e al re Vittorio Emanuele III. Il sovrano, così abile nel gestire l’allontanamento del Duce dal potere, non fu interessato a garantire agli italiani ciò che essi desideravano ardentemente: la fine della guerra. Puntava a una pace negoziata che non abolisse la monarchia. —