Il Sole 24 Ore, 14 agosto 2020
Gm attacca Fca: conti offshore per pagare i sindacati
Spie nel consiglio di amministrazione. Una rete di conti offshore per pagare – e nascondere – tangenti ai danni d’una concorrente. No, tutte menzogne e calunnie, cospirazioni inventate di sana pianta e già ripudiate dai tribunali.
È una saga legale che non accetta la parola fine quella che dallo scorso novembre contrappone negli Stati Uniti due colossi globali dell’auto, la General Motors, nei panni di grande accusatore, e Fiat Chrysler Automobiles, che contrattacca con la medesima foga. Anzi, adesso affianca al duello toni da romanzo di cappa e spada. L’ultima puntata, come nei racconti d’appendice che si rispettino, è stata scritta nel caldo di agosto. Gm ha assicurato la giustizia americana d’aver trovato, grazie a propri detective, inedite indicazioni dell’esistenza di conti segreti nelle isole Cayman, in Svizzera, Lussemburgo, Singapore e anche Italia che sarebbero stati impiegati da Fca per una trama di bustarelle volta a danneggiare Gm nei negoziati con il sindacato sul costo del lavoro. «Questo network di conti, utilizzato dagli accusati e controllati in parte da individui che in teoria agivano per Gm, rivela una dimensione di corruzione e attività illegali che specificamente prendeva di mira General Motors e non era nota», asserisce. E aggiunge, in particolare, che l’ex esponente del consiglio di amministrazione di Gm ed ex sindacalista Joe Ashton, in attesa di sentenza per corruzione nei prossimi giorni, sarebbe stato in realtà una delle talpe prezzolate dal nemico.
L’obiettivo per Gm è riaprire a tutti gli effetti in tribunale un caso contro Fca che era parso altrimenti chiuso, archiviato a inizio luglio con un nulla di fatto dal magistrato incaricato, l’81enne giudice distrettuale del Michigan Paul Borman. Ma, indipendentemente dall’esito di questi o altri tentativi, la nuova escalation dello scontro appare destinata a lasciare una pesante eredità nelle relazioni tra le due grandi imprese. E, soprattutto, a diventare cartina di tornasole delle tensioni che oggi scuotono le case automobilistiche tradizionali, rivoluzioni tecnologiche e di mercato che innescano fusioni e consolidamenti e premiano una nuova arrivata quale Tesla, regina delle vetture elettriche e hi-tech nata nel 2003, quotata dal 2010 e volata a leader della market cap del settore globale.
Fca, segno dell’acrimonia tra le due società, ha risposto a General Motors con linguaggio altrettanto forte. «Il proposto ricorso emendato di Gm si legge come una sceneggiatura d’un film di serie B, pieno di assurde accuse che Fca avrebbe pagato spie per infiltrare Gm e estrarre informazioni usando appositi fondi in una vasta rete di conti bancari esteri e segreti. Nulla di ciò è vero». Fca ha proseguito definendo «disgustose» le «accuse folli e senza traccia di prove». E ha esplicitamente citato quale motivazione della rivale, adesso come ieri, il desiderio di sabotare il merger da lei orchestrato con la francese Psa, che crearà un gruppo capace di scavalcare Gm.
Il lungo conflitto è originalmente esploso quando General Motors, facendo leva su un’indagine federale per corruzione sul sindacato United Auto Workers, ha sostenuto in tribunale nove mesi or sono che per anni Fca, sotto la gestione dello scomparso Sergio Marchionne, avrebbe intenzionalmente “unto” i vertici delle union per strappare vantaggi nei negoziati contrattuali sul costo del lavoro. Bustarelle sarebbero finite nelle tasche, oltre che di Ashton, di due segretari generali della UAW, Dennis Williams e Ron Gettelfinger. Nonchè di Al Iacobelli, un ex negoziatore con il sindacato della Fca e poi di Gm, condannato a oltre 5 anni di carcere per appropriazione indebita di fondi sindacali con i quali si comprà una Ferrari, una piscina e penne incastonate di pietre preziose.
Il risultato sarebbe stato quello di «compromettere l’integrità del processo di contrattazione collettiva». Dalla girandola di corruzione Gm ha sostenuto d’aver subito danni per oltre un miliardo di dollari in termini di addizionale costo del lavoro, sulla base di una differenza di 8 dollari l’ora tra le due imprese. Stando a stime di JP Morgan, Gm avrebbe avuto in programma di chiedere almeno sei miliardi di danni. Di più: Gm affermò che Fca in quel modo, oltre a danneggiare una concorrente, voleva indebolirla per costringerla ad un merger ventilato da Marchionne e invece sempre respinto da Barra. La cospirazione avrebbe avuto un nome, Operation Cylinder.
Borman ha tuttavia bocciato il caso originale con una decisine presa a inizio luglio. Ha prima provato una insolita riappacificazione tra le parti, ordinando un faccia a faccia tra i due chief executive, Mary Barra per Gm e John Manley per Fca, cancellato in appello. Nel farlo aveva apostrofato il duello come uno spreco «di tempo e risorse», tanto più con il Paese in preda a sfide quali pandemia e tensioni razziali. Fallita la diplomazia, Borman aveva liquidato il ricorso di Gm per racketeering, corruzione e estorsione, definendolo senza merito, affermando che Gm non aveva subito danni diretti nè dimostrato l’intenzione di Fca di colpirla. Fca ha da sempre respinto seccamente ogni addebito o ipotesi di trame cospirative, definendo lo scandalo opera di singoli.
Ma strascichi dalla vicenda affiorando al di là delle ripetute offensive di Gm, tenendo alta la suspense. Nelle scorse settimane un gruppo di 27 dipendenti Fca nello stabilimento di Toledo in Ohio ha a sua volta denunciato sia l’azienda che la UAW. Sostiene che il sindacato ha seppellito preoccupazioni e richieste di paga e diritti contrattuali a causa proprio dei benefici illeciti che ricevevano molteplici suoi funzionari, da viaggi a ristoranti di lusso e pagamenti di mutui. Né è terminata l’inchiesta federale sul sindacato, che ha finora portato a 14 condanne e ammissioni di colpa da parte di ex dirigenti della Uaw e di Fca. La union dell’auto, tuttora tra le più influenti con quasi 400.000 iscritti, sta trattando con le autorità federali il lancio di riforme interne per evitare un drastico commissariamento.