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 2020  agosto 14 Venerdì calendario

I confini più pazzi del mondo

C’è una geografia che resiste a sé stessa, alle semplificazioni, e si mette in mezzo. Una geografia che spezzetta confini e bucherella Paesi: lascia le briciole sul planisfero creando piccoli e grandi grattacapi ai governi, intralciando le diplomazie. Oppure magari si fa finta di niente e le stravaganze territoriali giacciono indisturbate nella speranza che non facciano danni.
Alcune sono vicine a noi: Campione d’Italia, per esempio, «isola» italiana in Svizzera aggrappata per un secolo al suo casinò adesso in disarmo. Altre, comunque non lontane, sperimentano difficoltà inedite dopo centinaia d’anni di relativa quiete: le cittadine belga di Baarle-Hertog e olandese di Baarle-Nassau costituiscono un complesso sistema di enclave ed exclave nel sud dei Paesi Bassi, con case e negozi divisi da capricciosi confini d’origine medievale, e devono ora fare i conti con le diverse regole sul Covid varate dai governi di Bruxelles e dell’Aia. La pandemia non rispetta neppure la topografia.
È negli interstizi tra la geopolitica e l’irresistibile fascino dello strano-ma-vero che si è mosso Zoran Nikolic, ingegnere informatico nato in Jugoslavia (e dunque particolarmente esposto all’impatto della storia sulle frontiere), dando forma di libro, anche con una certa ironia, alla sua passione. The Atlas of Unusual Borders, uscito in Gran Bretagna l’anno scorso per HarperCollins, è appunto un atlante di bizzarrie, alcune note, alcune meno, altre – francamente – impossibili. Ce ne sono di innocue, come l’isola di Märket, nell’arcipelago delle Åland: poco più che uno scoglio di 350 metri per 150 con un confine che zigzaga tenendo il vecchio faro sul lato finlandese ma assicurando alla Svezia una superficie di analoga estensione. E se Märket è «una delle più piccole isole marittime divise fra due Paesi», diversa è la situazione di Francia e Olanda, Paesi europei che tra loro confinano non in Europa, dove li separa il Belgio, ma in un altro continente: in America. Nei Caraibi, più precisamente, dove l’isola di Saint-Martin/Sint Maarten è dal Seicento divisa tra le due nazioni (la parte francese, due terzi del territorio, usa l’euro, l’altra il fiorino antillano).
Scenari pacifici, mentre spesso sono drammatici mutamenti a provocare cicatrici che inceppano la linearità delle frontiere. La Jugoslavia, saltata per aria nel 1991 con una sequenza di guerre durata quasi un decennio, ha diversi casi del genere, uno dei quali riguarda il villaggio di Brezovica, sulla frontiera tra Croazia e Slovenia, dove forse «una casa, insieme con l’appezzamento intorno, non appartiene a nessuno dei due Paesi. Circostanza che ne farebbe una cosiddetta terra nullius, terra di nessuno». La dissoluzione dell’Urss ha impresso tracce ancora più vistose, dalla Russia – la munitissima exclave di Kaliningrad, la microscopica enclave di Sa’kovo-Medvezh’ye nel corpo della Bielorussia – fino alle schegge di Tajikistan in Uzbekistan e Kirghizistan, di Kirgizistan in Uzbekistan, di Uzbekistan in Kirghizistan. Nel Caucaso, poi, parlano spesso le armi: Azerbaigian e Armenia si accapigliano per il Nagorno-Karabakh. E nella Siria sconvolta dalla guerra la mini-enclave turca della tomba di Suleyman Shah ha cambiato posizione tre volte dal 1973, spostandosi progressivamente verso nord.
Migliore la sorte di Martelange, tra Belgio e Lussemburgo, dove vecchie mappe imprecise hanno fatto correre il confine lungo l’autostrada N4, col risultato che sul lato orientale, quello del Granducato, si affollano stazioni di benzina – una quindicina in un chilometro – che sfruttano il più conveniente regime fiscale. E no, questa non è proprio una stranezza.