La Stampa, 14 agosto 2020
Intervista alla scrittrice Valérie Perrin
«Ho capito subito che con gli italiani stava avvenendo qualcosa di straordinario». Valérie Perrin, 53 anni, se lo ricorda bene: il suo secondo romanzo, Cambiare l’acqua ai fiori, è uscito in Italia poco più di un anno fa «e sui social cominciai a ricevere tantissime notifiche dai lettori del vostro Paese, una follia». Fotografa di scena per il compagno, il regista Claude Lelouch, con il quale ha poi iniziato a scrivere le sceneggiature dei suoi film, Valérie con quel libro è diventata (a sorpresa) una scrittrice di successo in Francia. Ma in Italia perché? Da noi la storia di Violette, custode di un cimitero nella Borgogna profonda, crocevia d’umanità e di resilienza, è stato uno dei libri più venduti durante il confinamento. E ancora oggi, dopo così tanto tempo dall’uscita, resiste nella top ten. Valérie, nel mezzo di quest’estate afosa e un po’ sospesa, a causa del Covid, si trova a Gueugnon, dov’è nata e vissuta una trentina d’anni. Sì, ancora la Borgogna del suo romanzo.
Ha trovato le ragioni del successo italiano?
«Il lavoro immenso del mio editore, e/o. Poi il fatto che i librai l’hanno scoperto e adottato. Ed è iniziato un passaparola tra i lettori. Come in Francia, in Italia tanti leggono Cambiare l’aqua ai fiori e poi lo offrono agli amici. Ma alla fine, credo che Violette sia ancora una volta la chiave di tutto».
Come la può descrivere?
«Ha un po’ più di quarant’anni. Quando qualcuno l’incontra, nota subito che ha una voce dolce, ti guarda dritto negli occhi, non li mette giù. Violette ti ascolta. Parla poco, ma ascolta molto. E, quando parla, lo fa per consolare o per incoraggiare gli altri a sfogarsi. È come una psicologa».
A chi si è ispirata per il suo personaggio?
«Chi mi conosce mi dice: ti assomiglia molto. Ma in realtà è un miscuglio di tante donne che ho incontrato nella mia vita. Se dovessi filmarla, direi che è come un’ombra, qualcuno di molto discreto. Ma se fai un primo piano sul suo viso, si rivela molto bella, di sicuro interessante».
Ne parla come di una persona viva…
«Ormai la sento come una presenza fisica. È il mio angelo custode. Credo mi proteggesse da sempre e che d’un tratto si è rivelata attraverso la scrittura del romanzo. È un po’ mistico, ma è così».
È felice Violette?
«Si accontenta del quotidiano. Non ha fatto l’amore da anni: è come se avesse chiuso rispetto all’esterno il suo corpo di donna, con la sensualità. Ma è in pace con il presente e con le persone che la circondano. I grandi momenti di Violette sono i più semplici: bere un bicchiere di vino con un becchino, parlare con gli habitués del cimitero, avere conversazioni spirituali con il prete. Indossa vestiti scuri, per presentarsi a chi viene al cimitero, ma sotto ne nasconde di rosa o color pastello».
Poi succede qualcosa…
«Una mattina qualcuno viene a bussare alla sua porta. E d’un colpo lei si rivela in quanto donna: se l’era proibito da quasi vent’anni, quando suo marito era sparito, senza lasciare tracce».
Quest’uomo è legato a un altro personaggio del libro, Gabriel, un avvocato, inumato proprio nel cimitero. Ma è vero che per Gabriel si è ispirata a Eric Dupond-Moretti, un personaggio sui generis, da poco nominato daMacron ministro della Giustizia?
«Sì, Eric è un grande avvocato. Una decina d’anni fa lo vidi pronunciare un’arringa al tribunale di Aix-en-Provence. Mi cambiò la vita, lui ha un carisma incredibile. Siamo diventati amici. Scrivendo la sceneggiatura di Chacun sa vie, un film di Claude, abbiamo pensato a Eric per una scena dove fa la parte di un giudice e si è pure rivelato un attore fenomenale. È una sorta di Rastignac, quei grandi personaggi che compaiono nei romanzi dei grandi autori. Ci ho provato anch’io a metterlo nel mio libro, tale e quale. Mi sono ispirato alla sua voce, al suo carisma, allo sguardo. Dà sempre l’idea di essere un duro ma si sente che sotto quella scorza c’è una grande sensibilità».
Siete entrambi due provinciali…
«Completamente. E siamo cresciuti in ceti sociali popolari. Ci capiamo al volo».
"Cambiare l’acqua ai fiori" si svolge in provincia in un Paese dove i romanzi sono spesso ambientati a Parigi…
«Sì, anche in Il quaderno dell’amore perduto, il mio primo libro, la storia di una badante in una casa di riposo, ora riproposto in Italia dall’editore Nord, tutto avviene in provincia. Ho appena finito di scrivere il mio terzo romanzo (dal titolo, in francese, Trois). È la storia di tre amici che ancora una volta crescono nella provincia profonda e che, per ragioni misteriose, si perdono di vista. Ma qui c’è una parte in cui uno dei protagonisti vive a Parigi. In ogni caso a me interessano quelli che in Francia chiamiamo "les gens de peu": le persone che hanno poco, ma che ai miei occhi sono immense. Stamani al mercato, qui a Gueugnon, ho visto Norbert, abbiamo bevuto un caffè insieme. È stato becchino. È quel genere di persone che hanno capito tutto della vita, di buon senso. Pure lui è finito in Cambiare l’acqua ai fiori. È Nono».
Tante esistenze raccontate nei suoi libri…
«Perché pure io ho avuto mille vite. Ho lavorato tanto, ho iniziato a 17 anni, e ho cambiato spesso. Ho fatto la commessa, ho diretto una società di call center, ho lavorato come estetista, anche come assistente odontotecnica. Al tempo stesso ho letto enormemente. E ho sempre amato il cinema e tutte le arti. Il mio primo romanzo è uscito quando avevo già 48 anni. Tutto quello che ho vissuto prima mi serve così tanto oggi per scrivere i miei romanzi».