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 2020  agosto 11 Martedì calendario

La tempesta perfetta su Lukashenko

La vicenda del petrolio contaminato da cloruri organici nell’oleodotto dell’amicizia, che l’anno scorso impose il blocco del transito di greggio russo diretto in Europa via Bielorussia, è emblematica: un’ombra premonitrice sul legame, strettissimo, tra le due economie. Da qualche tempo però il Cremlino ha subordinato gli aiuti al piano di integrazione tra i due Paesi; e alla riduzione dei sussidi si sono aggiunti lo shock del coronavirus e la crisi globale che si farà sentire pesantemente su un’economia dipendente dall’export: il modello economico bielorusso, basato su sovvenzioni e accesso privilegiato al mercato russo al prezzo di una posizione di vassallaggio, è sempre meno sostenibile.
«La nostra assunzione di base a oggi – spiega Matteo Patrone, managing director per Europa orientale e Caucaso alla Bers, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo – è che l’economia bielorussa soffrirà una contrazione del 5% nel 2020, con un rimbalzo del 3,5% nel 2021. Proiezioni soggette però a sensibili variazioni, vista l’aleatorietà della situazione macroeconomica e politica».
Già lo scorso anno il blocco dell’oleodotto Druzhba aveva provocato un rallentamento della crescita all’1,2%: il settore petrolchimico è vitale per la Bielorussia, che importa dalla Russia petrolio a prezzi sussidiati e lo riesporta raffinato a prezzi di mercato. «Nel 2019 il deficit delle partite correnti, quasi a zero nel 2018, è salito all’1,8% del Pil – scrive la Bers -, a causa del calo delle esportazioni di derivati del petrolio. E tuttavia la posizione fiscale del governo è rimasta solida, grazie all’aumento delle entrate fiscali e al contenimento della spesa pubblica».
Le cose hanno iniziato a peggiorare nel primo trimestre di quest’anno: «In base alle stime preliminari – è l’analisi della Banca europea – i ritardi nelle intese con la Russia su petrolio e gas, che a inizio anno hanno interrotto le forniture alle raffinerie di petrolio, sono all’origine di un calo della produzione manifatturiera del 2,3%. Il crescere delle incertezze incide sul commercio interno. Mentre i legami economici con la Russia – a cui fanno capo il 41% delle esportazioni, il 56% delle importazioni e il 31% degli investimenti diretti dall’estero – rendono la Bielorussia vulnerabile al calo dei prezzi del petrolio e alla recessione prevista in Russia. Mentre la pandemia riduce la domanda, all’interno e dall’estero».
Una tempesta perfetta contro Aleksandr Lukashenko: è soprattutto la crisi economica, intrecciata a quella sanitaria, ad aver fatto emergere un dissenso che fino a pochi mesi fa Lukashenko riusciva a tenere sotto controllo. Incapace di aderire in modo convincente a un programma di riforme, negli ultimi anni il leader bielorusso ha giocato la carta dell’avvicinamento all’Occidente più che altro per agitarla davanti al Cremlino, e bilanciarsi in un precario equilibrio tra Est e Ovest: e ora, nel limbo in cui si ritrova il Paese, il mondo esterno e le organizzazioni internazionali come il Fondo monetario o la Banca mondiale non possono che attendere lo sviluppo degli avvenimenti: «In questo momento purtroppo – osserva Patrone – l’aspetto macroeconomico resta in secondo piano».
La Bers, nata con la fine del blocco sovietico per assistere i Paesi dell’Europa orientale nella trasformazione in economie aperte e di mercato, si concentra per mandato sull’iniziativa privata. «Ma in Paesi come la Bielorussia – spiega Matteo Patrone -, il settore privato è ancora in fase di sviluppo e vi sono notevoli spazi di miglioramento nel settore delle partecipazioni pubbliche. Vi sono quindi opportunità per sostenere ottime imprese locali, investimenti esteri diretti, ma anche per accompagnare al cambiamento aziende e banche statali, che contribuiscono per circa il 70% dell’economia bielorussa. Per esempio, abbiamo lavorato a lungo con Belinvestbank, in un’attività di pre-privatizzazione, oggettivamente con buoni risultati ad oggi. A medio termine, contiamo di continuare l’opera di riforma e promuovere la privatizzazione della banca».
Con investimenti nel 2019 pari a circa 400 milioni di euro, la Bielorussia è uno dei primi dieci Paesi in cui interviene la Bers: le intenzioni sarebbero di rafforzare questa presenza. «Come nella maggior parte dei Paesi dell’ex Urss – osserva Patrone – in Bielorussia le competenze tecniche sono elevatissime. Da questo nasce il grande sviluppo del settore tecnologico, in particolare l’IT: sicuramente un terreno fertile, con diversi casi di successo come l’High Tech Park di Minsk, che ospita aziende leader a livello globale e prodotti che poi si sono diffusi a livello mondiale. È poi molto sviluppato il settore manifatturiero, per esempio con Stadler, il costruttore svizzero di treni che ha un grande impianto di produzione nella zona industriale vicino a Minsk. O il settore dell’agribusiness, e quello del legno, grazie alla presenza di foreste e quindi di grandi aziende di semilavorati in legno. La Bielorussia inoltre è un Paese in cui la corruzione è a livelli minimi, con un ecosistema in cui gli investimenti esteri diretti vengono accolti molto bene».
Volendo astrarre dall’attuale situazione politica, si potrebbe aggiungere la posizione strategica, un ponte tra il mercato europeo e, attraverso la Russia, quello asiatico. Ma questa è una carta nascosta nel futuro.