Corriere della Sera, 11 agosto 2020
Taviani, l’invasione sovietica e il fronte in Calabria
Durante la guerra fredda l’Italia è stata anche potenziale campo di battaglia di guerre autentiche, combattute a ferro e fuoco da eserciti. Erano in pochi, allora, a conoscere nei dettagli gli scenari che venivano esaminati all’interno dello Stato per definire le contromisure verso questo tipo di pericoli. Si tratta di rischi rievocati di rado, mentre intorno al nostro Paese si intensificano tensioni internazionali, come accade attualmente in Libia o in Medio Oriente. A ricordarci quel passato con particolari a lungo in ombra sono testi rimasti riservati per decenni: pagine di atti delle Commissioni parlamentari d’inchiesta che erano coperte da omissis. Per decisione delle presidenze delle Camere, adesso sono carte consultabili. Quanto segue deriva da ricerche tra i documenti «desecretati».
«Vorrei dire una cosa in seduta segreta», chiese il 5 dicembre 1990 Paolo Emilio Taviani, già comandante partigiano, componente della Costituente e nel 1951 sottosegretario agli Esteri. Senatore della Democrazia cristiana, veniva ascoltato in Parlamento nella sua qualità di ministro della Difesa, tra 1953 e 1958, e dell’Interno, tra 1962 e 1968 e tra 1973 e 1974. Taviani era stato uno degli artefici della parte italiana della rete anticomunista segreta Stay Behind, soltanto molto più tardi salita a notorietà con la denominazione Gladio.
Il presidente della Commissione di inchiesta sulle «cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi», Libero Gualtieri, accettò la richiesta. La pubblicità dei lavori fu interrotta mentre si stava parlando di accordi segreti tra gli Stati Uniti e l’Italia in una stagione contrassegnata da timori di un conflitto con l’Unione Sovietica e i suoi alleati.
Su un’eventuale invasione del nostro Paese, Gualtieri aveva detto che «nel 1951 era stato previsto anche l’arretramento, in caso di occupazione, fino alla Cirenaica o al Marocco o alla Tripolitania». Poi aveva citato un documento su cui era appuntato che era stato «deciso di sostituire la Tripolitania con la Sardegna come base di arretramento ultimo».
Ottenuta la segretezza dei lavori, Taviani obiettò: «Questa storia della Tripolitania e poi della Sardegna l’ho letta solo sui giornali. Per quello che mi risultava come ministro della Difesa, anche se ovviamente non è che io abbia i documenti o delle dichiarazioni, ma delle conversazioni con il capo di Stato maggiore della Difesa, nei momenti in cui vi fu veramente il rischio di una guerra, e naturalmente l’invasione non sarebbe stata arrestabile neppure sulla Linea Gotica, ho sentito sempre parlare di una linea tra Cosenza e Catanzaro, o tra Catanzaro e Reggio Calabria».
Davanti al resoconto stenografico nell’Archivio storico del Senato, colpisce immaginare un fronte calabrese in un’Italia per gran parte in mano straniera. Alla pubblicità di parti della seduta, la commissione Stragi nell’ascoltare Taviani rinunciò anche più avanti. Il 1° luglio 1997 il senatore specificò: «La Russia non si sarebbe certamente mossa per prendere l’Italia, però poteva esserci una guerra europea ed in questo caso loro sarebbero arrivati a Bergamo via Austria in due giorni e da Bergamo avrebbero puntato sulla Calabria. Quindi il nostro fronte sarebbe stato in Calabria, questo quando io ero ministro».
La Linea Gotica, tra 1944 e 1945, aveva separato le zone dell’Italia del Nord ancora occupate dalla Germania nazista da quelle liberate dagli Alleati e dalla Resistenza. Nel 1990, in commissione, Taviani parlò degli albori di una struttura anti-invasori. Militari italiani, quattro decenni prima, avevano valutato la possibilità di far compiere azioni di disturbo nelle retrovie che sarebbero state controllate dai sovietici a ex partigiani non comunisti della «Brigata Osoppo».
Raccontò il senatore: «Il caso si era già presentato al momento della guerra di Corea. Ci fu un momento, durante quella guerra (ero allora presidente della Commissione italiana per il Piano Schuman e poi Presidente della commissione italiana per la Ced – Comunità europea di difesa) in cui si corse il rischio di allargamento della guerra anche in Occidente e in quel caso ci fu l’allertamento di questi ex partigiani».
La guerra di Corea fu combattuta tra 1950 e 1953. Taviani rammentò che non era stata l’unica occasione nella quale si era ipotizzato un precipitare degli eventi: «Successivamente, venne il momento dell’emergenza Trieste (…). È chiaro che la Jugoslavia non sarebbe arrivata alla Linea Gotica, però il rischio di guerra ci fu e fu concreto».
Schierato contro l’Urss di Iosif Stalin, fiero di essere stato il primo ministro della Difesa in visita a Washington dopo il viaggio del 1947 in cui Alcide De Gasperi decise di puntare all’uscita del Partito comunista dal governo, il centrista Taviani era convinto, come Mario Scelba, che il Pci non andasse messo fuori legge. «Si confonde sempre duro con “destro’”», osservò nel 1997. Ormai senatore a vita, rivendicava la propria durezza senza voler essere confuso con la destra. E chiese che la seduta non fosse pubblica anche per fornire una descrizione dei servizi segreti da antologia, benché più addolcita di altre fatte a voce a chi scrive. «Il mondo dei servizi è quello che si vede nei film. Ci sono gli stessi passaggi, le stesse storie, solo che l’errore commesso nei film è che ci sono troppi morti. Il servizio segreto non deve ammazzare nessuno, perché, appena ammazza, qualcuno viene scoperto», sostenne.
Ai commissari Taviani raccontò: «Io avevo e ho disistima nei riguardi della Cia. Non mi riferisco a ragioni morali: ma a ragioni tecniche. Fin dalla Resistenza. Basti ricordare gli episodi del Lago d’Orta, allorché un agente della Cia (…) fece avvelenare e affondare nel lago un suo superiore (maggiore Hololan). (…). Ero ministro della Difesa nell’autunno del 1956 allorché la supremazia nel campo dei servizi segreti è passata dall’Intelligence service (britannico, ndr) alla Cia. (…) Fu un passo indietro preoccupante (…). Negli anni Sessanta e Settanta e perfino Ottanta gli agenti della Cia in Italia ebbero, salvo qualche rara eccezione, una sola linea di azione: un ottuso anticomunismo, l’assoluta disattenzione e incomprensione di quanto si stava verificando nel Pci con la svolta di Berlinguer. Ben superiore il livello dell’Fbi, nonché dei servizi statunitensi della Marina». Non è tutto. Ne scriveremo ancora.