Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  agosto 09 Domenica calendario

Ritratto di Andrea Pirlo

Non lasciatevi ingannare da quell’aria un po’ così di chi la vita sembra non prenderla troppo sul serio. Andrea Pirlo ama scherzare, ma sul lavoro è tremendamente serio ed essenziale: vuole vincere. Giocando bene, certo, anche perché non riusciva proprio a giocare male, ma il primo obiettivo era ed è la vittoria. La cifra della sua regia non era solo la fantasia, ma soprattutto l’efficacia: Andrea inventava calcio non per se stesso o per il pubblico, ma per i compagni e per il risultato. E il suo pensiero non cambierà in panchina.
Voglia di sfideIl cammino che si appresta a compiere all’alba della sua seconda carriera è impervio, ma non molto più di quello che affrontò quando decise di traslocare trenta metri più indietro, da trequartista a regista. O di quello che intraprese quando, dopo dieci anni di Milan, lasciò i rossoneri scudettati e andò alla Juve per dimostrare di non essere finito. Cominciare ad allenare dal vertice è rischioso, ci si può bruciare. Ma un cucchiaio ad Hart nei rigori di Italia-Inghilterra (quarti di finale, Europeo 2012) è altrettanto rischioso, si può fare una figuraccia epica. «Ho visto che Hart faceva dei movimenti strani, era abbastanza carico e ho deciso di tirarlo in questo modo», raccontò Andrea. Osservazione attenta, decisione veloce: doti che servono anche in panchina. Carlo Mazzone, il primo a intuirne le potenzialità da playmaker, lo prendeva in giro per la scarsa loquacità: «Aò, Andrea, oggi m’hai fatto ‘na capoccia così». In effetti nel nuovo ruolo Pirlo non potrà limitarsi a far parlare il pallone, ma non sarà un problema. Ha avuto allenatori diversi tra di loro: Mazzone, Ancelotti, Lippi, Conte, Allegri – solo per citarne alcuni – e tutti gli hanno lasciato qualcosa. Così come ogni tappa: al Brescia è cresciuto in fretta, all’Inter ha capito che non sarebbe stato tutto facile, alla Reggina si è ritrovato, al Milan è diventato un fuoriclasse, alla Juve ha firmato un’epoca. È sempre stato al centro del gioco mettendo il pallone al centro del suo pensiero. Ma il Pirlo calciatore non era solo classe e fantasia. Le qualità aerobiche, ad esempio, non vanno dimenticate. Nel caldo torrido di Philadelphia, estate 2011, Conte costringeva i giocatori della Juve a una serie infinita di navette che metteva a dura prova la resistenza generale. Qualcuno addirittura sveniva. Pirlo no: correva senza fermarsi mai. Non apprezzerà eventuali scansafatiche.

Prima volta
In campo, tra le altre cose, Andrea era il compagno a cui affidare il pallone nei momenti difficili, bastava uno sguardo e ti correva incontro. Adesso la stessa funzione sarà svolta in modo diverso, ma di sicuro la personalità e la credibilità nello spogliatoio saranno identiche. Oggi il grande dubbio riguarda la mancanza di esperienza specifica. Guardiola si era concesso un anno al Barcellona B per testare le sue idee senza pressione. Zidane aveva fatto il vice di Ancelotti e guidato il Castilla prima di presentarsi al Bernabeu. Anche per Pirlo era stato disegnato un percorso simile, ma le cose sono cambiate e il futuro è diventato improvvisamente presente. Al Maestro hanno dato la cattedra più bella e difficile, con la classe più dotata ma un po’ indolente nell’ultimo anno. Ne «L’Attimo fuggente» c’è una frase di Robin Williams/John Keating che potrebbe benissimo essere quella con cui Pirlo si rivolgerà a Ronaldo e a chi è sazio dopo tanti scudetti: «Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva». Andrea, da sempre, guarda il calcio da un’altra prospettiva.