la Repubblica, 9 agosto 2020
I guaritori Cosma e Damiano
«Ho scoperto il culto di Priapo, divinità oscena degli antichi, in pieno rigoglio, come ai tempi dei Greci e dei Romani». Lo scrive nel 1781 Sir William Hamilton, ambasciatore inglese a Napoli e grande collezionista di archeologia, a Joseph Banks presidente della Royal Society di Londra. Di fatto il diplomatico britannico descrive la festa dei santi Cosma e Damiano che si svolgeva ad Isernia in Molise.
L’antico dio della fecondità, raffigurato come un fallo dal volto umano, filologicamente parlando non avrebbe molto in comune con i due santi. Se non fosse per un particolare anatomico piuttosto rilevante. E anche imbarazzante. Cioè i giganteschi membri virili di cera che le donne offrivano ai due patroni celesti per avere in cambio una vita sessuale ricca di satisfaction. E non paghe, le devote nel portare all’altare l’ex voto indecente esclamavano «Così lo voglio!». Hamilton raccoglie un bel po’ di quei santi attributi e li spedisce al British Museum, dove sono tuttora custoditi, insieme a numerosi amuleti fallici pagani trovati ad Ercolano. Degli uni e degli altri non sarebbe peregrino chiedere la restituzione, perché alla fine sono falli nostri. In effetti sia nell’eccitazione archeologica di Sir William, che fa di Cosma e Damiano gli eredi cristiani di Priapo, sia negli eccessi della devozione popolare che ne fa dei sessuologi ultraterreni, c’è del vero. Perché i due gemelli divini devono la loro fortuna religiosa al fatto di aver professato la medicina, tant’è che vengono tradizionalmente soprannominati i santi medici. E il loro culto è effettivamente un’eredità precristiana, ma più che dal licenzioso Priapo, discendono da Asclepio, dio dell’arte terapeutica, marito di Salus (Salute) e padre di Panacea. Nonché rianimatore di morti.
Secondo gli agiografi, i due vivono nel Trecento dopo Cristo e esercitano la professione medica a Egea, l’attuale Ayas, in Turchia, che nell’antichità era uno dei centri più importanti del culto asclepiaco.
Così è proprio dal crepuscolo degli dèi pagani che spunta la nuova stella dei due sacri dottori. Famosi per abilità e carità, visto che prestano la loro opera gratuitamente. Infatti, vengono chiamati anargiri, che in greco significa senza denaro. E proprio quella che oggi definiremmo la scelta tra professione privata e impegno nel pubblico è l’oggetto del cosiddetto miracolo di Palladia, una donna affetta da un’emorragia inarrestabile e sanata dai due. Lei vuole a tutti i costi sdebitarsi. E al loro rifiuto prende da parte Damiano e lo prega di accettare il dono di tre uova in nome di Cristo. Quando l’integerrimo Cosma viene a conoscenza del fatto disconosce il fratello, reo di interesse privato. Senonché un dromedario prende prodigiosamente la parola in difesa di Damiano e così fra i due torna l’armonia.
La loro basilica a Costantinopoli sin dai primi secoli del cristianesimo è considerata un campus biomedicale, visitato da schiere di malati che passano la notte all’interno del recinto sacro. Dove i santi, col favore delle tenebre visitano in sogno gli infermi, proprio come dei primari in corsia.
Fanno anamnesi e diagnosi, consigliano terapie e nei casi più urgenti effettuano interventi chirurgici. Così almeno racconta Jacopo da Varagine nella duecentesca Legenda Aurea, la più completa e fantasiosa raccolta di vite dei santi. Insomma, Cosma e Damiano si possono considerare i padri della sanità pubblica, in quanto fanno dell’assistenza sanitaria universale una sacra missione. Non è un caso che a partire dal Sesto secolo diventino i patroni della corporazione medica. Così vengono raffigurati a Roma nella loro chiesa situata nell’area dei Fori, all’interno del Tempio della Pace, dove si trova la più antica rappresentazione dei due guaritori. Si tratta di un mosaico dove Cosma compare accanto a san Pietro mentre Damiano è vicino a san Paolo. Ed entrambi portano al braccio la borsa da medico, antenata della valigetta del dottore. E ancora oggi sono facilmente riconoscibili perché hanno con sé gli strumenti del mestiere. Ampolle, bisturi, mortaio da farmacia, vaso per le urine, scatola degli unguenti. La Facoltà di medicina di Bologna li porta effigiati sul suo gonfalone e sul sigillo dell’Alma Mater.
Ma la più folgorante illustrazione pittorica della potenza salvifica dei fratelli la dobbiamo al devotissimo e ispiratissimo pennello del Beato Angelico. Si tratta della cosiddetta Guarigione del diacono Giustiniano, conosciuta anche come “Miracolo della gamba nera”, forse il più celebre exploit terapeutico dei gemelli divini. Il quadro, conservato nel Museo Nazionale di San Marco a Firenze, fu commissionato al pittore da Cosimo il Vecchio de’ Medici, che di Cosma portava il nome e dei mitici taumaturghi aveva fatto i protettori della famiglia. Quest’opera rappresenta il primo trapianto della storia dell’arte. E racconta un intervento ai confini della realtà degli anargiri, che salvano la vita di Giustiniano, diacono della loro chiesa romana, affetto da una cancrena alla gamba. Gli holy brothers in missione per conto di Dio, armati di bisturi e unguenti, appaiono in sogno al poveretto. E dopo aver amputato l’arto malato impiantano al suo posto quello di un etiope morto nello stesso giorno.
Al risveglio, il redivivo si trova perfettamente guarito senza essere minimamente turbato dal fatto di essere diventato bicolore. Bicromia che Fra Angelico trasforma in allegoria, facendo di quel mirabile Ebony and Ivory, un messaggio di integrazione che incanterebbe Paul McCartney. In questo periodo, segnato dal flagello del coronavirus, nei santuari dei due clinici soprannaturali, da Isernia a Bitonto, da Alberobello a Gaeta fino al Salento si sono levate suppliche e preghiere. Con straordinari successi terapeutici. È il caso di A.P. ricoverato per Covid all’ospedale di Lecce. Come ha confidato all’amico sacerdote don Leonardo Giannone, nel dormiveglia ha sentito per due giorni consecutivi Cosma e Damiano che confabulavano in salentino accanto al suo letto. «Nne l’imu purtare, quistu?» (Dobbiamo portarlo con noi questo?). Risposta: «None! E peccé nne l’imu purtare?» (No. Perché mai dovremmo farlo?).
Ed è guarito. Aveva proprio ragione Carmelo Bene, questo finisterre è il Sud del Sud dei Santi.