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 2020  agosto 08 Sabato calendario

Il film di Elisabetta Sgarbi sull’Extraliscio

È già musica il canto dei grilli. Arriva dall’ombra del cortile della casa-museo di Ro Ferrarese dove si trova Elisabetta Sgarbi. Che, non si sa come, nel tempo libero inesistente lasciato dall’organizzazione del festival La Milanesiana e dalla casa editrice La nave di Teseo, da lei fondata con Umberto Eco e altri amici uniti da una precisa visione, ha fatto anche un film. Un film che parla di musica.
Ma non solo. È più un quadro, nel modo in cui sapeva "dipingere" Edmondo Berselli però con la poesia affogata nella nebbia di Luigi Ghirri (a cui, non a caso, aveva dedicato un altro lavoro: Deserto rosa). La musica ha ritmo di ballo liscio che si stende in spazi onirici tra la Via Emilia e il West di Guccini e le voci della luna di Ermanno Cavazzoni. Che, non a caso, di questo film è il Virgilio, che porta alla scoperta di qualcosa che abbiamo tutti nella memoria, un ballo popolare e gioioso ma anche avvolto da un mistero alla David Lynch a dargli una tinta più oscura.
Tutto questo è Extraliscio-Punk da balera, un lungometraggio che verrà presentato a Venezia nelle Giornate degli autori mercoledì 9 settembre.
Come è nata l’idea di questo film?
«All’inizio una intuizione. Poi ho passato il resto del tempo a srotolarla e cercare di capirla».
Nei crediti finali c’è una dedica: "A mia madre Rina che ha ballato".
Quali sono stati i suoi primi ricordi legati al liscio?
«Ricordi personali, nel senso di esperienze vissute, non ne ho. Ma racconti sì, tanti. Di mio padre e di mia madre. Mio padre è uno Sgarbi.
Gli Sgarbi, a Stienta, dove lui è cresciuto, erano più d’uno. E, per distinguersi o per vezzo, avevano dei soprannomi: gli Sgarbi di mio padre erano "gli Sgarbi Ballarin". E mio padre era un bel ragazzo, asciutto, elegante e ballava bene. Mia madre aveva molti "filarini", cioè ragazzi che le facevano il filo. "Il racconto" era che durante la guerra il questore violò il coprifuoco per un ballo con "la Rina" mia madre. Insomma, il ballo, la seduzione hanno nutrito il mio lessico familiare».
Come ha conosciuto il gruppo su cui è incentrato il film, gli Extraliscio?
«Non ricordo dove, ma era previsto che fossi a un concerto di Ermanno Cavazzoni con questo gruppo musicale, che non conoscevo. Mi spiacque molto non esserci: e siccome per me La Milanesiana è anche un motivo di conoscenza, li ho invitati lì. Poi, non convinta di avere capito bene, ho aggiunto una data in coda, ad Alessandria e ho chiesto loro di fare un concerto in omaggio a Umberto Eco e alle canzoni degli anni 30, 40, 50 che Umberto racconta ne La Misteriosa Fiamma della Regina Loana. E lì è scattato qualcosa».
Cavazzoni è una sorta di guida.
«Ermanno percorre nel film proprio quel reticolo di radici: in parte biografico, di Moreno il Biondo e Mauro Ferrara che iniziano a lavorare nel momento delle grandi orchestre del liscio, dalla fine degli anni 60 in poi, con Borghesi, Bergamini, Raul Casadei; ma Ermanno va oltre per dare una idea di quale ampio spettro musicale genera questa tradizione. E lo fa con una levità, un tocco, una grazia straordinari. Il suo racconto sembra nascere dagli strumenti musicali, lui stesso ha una eleganza di movimenti davvero felice: non mi meraviglia che Fellini lo volesse fare recitare ne La voce della Luna ».
La fotografia del film è molto bella: certe nebbie, certi fumi gli danno un’atmosfera onirica che mi ha ricordato le foto di Luigi Ghirri.
«Le sue fotografie si iniziano a vedere a casa mia a fine anni 70, quando mio fratello Vittorio che era assistente universitario di Italo Zannier ne iniziò a parlare. Ghirri per me è l’anima geometrica dell’Emilia, un teorema, lo vedo vicino ad Antonioni e sul versante opposto di Fellini. Ma sono mie suggestioni. Comunque lo sguardo di Ghirri penso sia vivo in me nella ricerca di geometrie, che peraltro ho dentro: il mondo della pianura ha riferimenti precisi, tagli definiti, è come l’ordine oltre il quale senti che c’è l’infinito. Nel film che gli ho dedicato ho usato tutte le foto che escludevano l’uomo, ma includevano le tracce lasciate un attimo prima di abbandonare la scena».
C’è un riferimento al Kaurismaki di "Leningrad Cowboys"?
« Leningrad Cowboys è stata una delle suggestioni. Ho costruito delle scene ispirandomi ad alcuni film che amo molto, e che avevano una coerenza con quanto andavo girando. Kaurismaki suggeriva subito una idea di decontestualizzazione degli Extraliscio. Mi interessava spiazzare, non collocarli in una regione benché la loro appartenenza a quella tradizione romagnola fosse così eclatante. Ma, come faccio dire al loro manager in una battuta del film, proprio all’inizio: "Sono un gruppo romagnolo, ma in Romagna non li vuole nessuno". Che poi è il cuore del folk: lo vedi in un luogo ma le sue radici e le sue fronde chissà dove sono e dove vanno. E soprattutto — un po’ come ha fatto Kaurismaki — volevo che il film fosse una prova ulteriore della loro esistenza».
Ci sono altre citazioni?
«Il Bertolucci di Novecento, quando Leo Mantovani balla con una bambola e la palpeggia. Il nonno di Amarcord immerso nella nebbia. La scena al bancone dell’Overlook Hotel in Shining. Intendiamoci: non sono una citazionista e non è niente di postmoderno. È una mia esigenza personale e serve a portare altrove Extraliscio. Sono elementi che sottolineano il loro essere sempre altrove. E Mirco Mariani è l’elemento che porta altrove/extra: lui che non viene dal liscio ma ne ha capito la profondità e l’ampiezza».
La loro è una "vita da zingari" a dimostrazione che davvero questo mondo del liscio "è" il punk, "è" il rock’n’roll, non c’è differenza.
«Moreno il Biondo e Mauro Ferrara sono musicisti che hanno fatto oltre 365 concerti l’anno, perché in alcuni giorni ne facevano due. Si muovono ancora tutti insieme, con l’orchestra, con un pulmino, si portano dietro strumenti e scheda tecnica e la scaletta la fanno in base al pubblico che hanno davanti: cioè "sentono" il pubblico e ne seguono gli umori.
Come dice il titolo del film: "Si ballerà finché entra la luce dell’alba" che era la frase sui capannoni in cui si ballava, alle origini del liscio».
E le donne! Una più straordinaria dell’altra: decise, forti, sensuali, bellissime. La giovane Anna Maria Allegretti, Roberta Cappelletti, la stessa Riccarda Casadei...
«Il folk romagnolo, il liscio, ha una componente carnale, fisica. Il ballo era il luogo lecito del contatto fisico, e diventava un ponte con l’illecito.
Ho ascoltato meravigliosi racconti di seduzioni — parola che è un eufemismo — in questi mesi di lavoro con il gruppo musicale. E le donne nelle orchestre hanno sempre avuto un ruolo centrale, in cui esprimevano l’ampia gamma di valori di cui sono portatrici: cantanti sublimi, oggetti di desiderio ma anche capi orchestra e imprenditrici. Come Riccarda Casadei che nei momenti d’oro del liscio aveva centinaia di orchestre che suonavano pezzi del padre: era un’industria. E Roberta Cappelletti la prima, straordinaria, caporchestra donna: quando canta Tavola grande ci si rende conto della sua potenza. D’altra parte io lo sapevo già, mia mamma era romagnola, e la sua personalità non poteva ammettere la minima sottomissione. Regnava».
Come sono stati scelti gli altri artisti che appaiono nel film?
«Sono artisti con cui gli Extraliscio hanno collaborato: la loro competenza musicale li ha portati in territori lontani dal liscio. Con Lodo e Orietta Berti hanno inciso il singolo Merendine Blu. Con Jovanotti hanno aperto alcune date del Jova Beach Party. Mirco poi ha lavorato molto, nel suo laboratorio segreto di suoni e strumenti rari, il "LaBoTron " al nuovo album solista di Francesco Bianconi. Moreno il Biondo con la sua orchestra ha cantato Valzer transgenico di Elio e le Storie tese.
Senza dimenticare il teatro di Rezza e degli Omini e la musica classica, ovviamente: si può riarrangiare al modo di Chopin un pezzo straordinario di Secondo Casadei come Dolore, come hanno fatto nel film con il pianista Michele Sganga.
Ma un punto per me importantissimo è quando gli Extraliscio — con la voce di fanciulla di Gilda Mariani che è la figlia di Mirco — interpretano Gam Ki Elekh, riarrangiato sulla base di polka. Senti come la musica si parla a latitudini così distanti. Extraliscio, proprio per questa componente folle, "extra", si aprono a mondi non solo musicali: oltre al teatro, il disegno. Ho chiesto a Igort di comporre i loro ritratti e le aperture di scena del film, delle vere e proprie animazioni».
Alla fine cosa è per lei il liscio? Come lo definirebbe?
«Una musica colta, che fortunatamente dimentica sempre di esserlo, e ti guarda con un sorriso di bambina, gioioso, dietro cui, se vuoi, puoi vedere la storia dell’umanità. Il film è un omaggio a questo mondo e a mia madre che, io non l’ho vista, ma sono certa che avrà ballato con questa musica, come ho letto nelle pagine di mio papà».