Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2020
Blue chip, addio a 50 miliardi di ricavi
Il Covid come uno tsunami: ha devastato i conti delle aziende e travolto i valori di Borsa. La grande industria italiana quotata – ha calcolato l’Area Studi Mediobanca – ha riportato nel primo semestre del 2020 la peggior contrazione degli ultimi trent’anni, con il 26% di ricavi persi e il margine operativo finito in negativo (-0,5%). Basti pensare che nel 2009, esercizio investito in pieno dalla crisi finanziaria, la perdita di fatturato era stata inferiore al 9%.
Oggi, al contrario, la Borsa ha iniziato la ripresa già in primavera e il -22,9% segnato nel primo trimestre dalle 25 blue chip di Piazza Affari considerate, non è stato il peggior risultato di sempre: da settembre a novembre 2008, dopo il fallimento Lehman, la perdita in listino superava il 28%.
Il virus nei bilanci
L’analisi condotta dall’Area Studi di Mediobanca tra 150 multinazionali fotografa una contrazione media del giro d’affari del 6,6% nel semestre. Ma non tutti i settori sono andati di pari passo. Le regine del web, infatti, al traino di cloud e e.commerce, hanno beneficiato di un aumento dei ricavi del 17,6%, la grande distribuzione del 9,6%, l’elettronica del 5,6%. Sono campi in cui l’Italia non eccelle, a differenza della moda che è stata invece tra i settori più colpiti con le vendite giù del 28,4%. Le aziende petrolifere hanno perso più di un terzo del fatturato (-33,8%), i produttori di aerei quasi il 32%, mentre il calo nell’automotive sfiora il 27%.
Sette settori hanno fatto meglio della media in termini di ricavi – ai tre di cui sopra, si aggiungono farmaceutica (+1,3%), alimentare (+0,7%), fintech (+0,4%) e tlc (-3,9%) – ma guardando alla variazione dei margini operativi netti, solo gdo (+24,7%), elettronica (+12%) e società web/software (+2,4), oltre alla farmaceutica (-0,5%), hanno registrato performance migliori della media. La verità è che i costi extra sono aumentati per tutti e solo chi ha avuto la fortuna di aumentare i ricavi e chi è riuscito a organizzarsi meglio è riuscito a riassorbirne tutta la zavorra.
Per l’effetto combinato di costi fissi importanti e di vendite paralizzate, l’aeronatica (produttori), l’automotive e il settore petrolifero hanno riportato addirittura margini operativi negativi. All’ultima riga del conto economico, i vincitori sono sempre gli stessi: grande distribuzione (+31,6%), elettronica (+11,9%) e websoft (+9%) hanno guadagnato più dell’anno scorso. La moda ha chiuso il semestre in rosso, in compagnia dei tre settori con l’Ebit negativo.
La Borsa vuole dimenticare
Non si tornerà ai livelli pre-Covid prima del 2022, pronosticano gli analisti. Ma la Borsa ha già voltato pagina. Se nei bilanci il fondo è stato toccato da aprile a giugno, in Piazza Affari nel secondo trimestre è iniziata invece la rimonta. Considerando le blue chip di industria e servizi dell’indice principale, sono andati in fumo nella prima metà del 2020 42 miliardi (-11,2%), a fronte di 50 miliardi di ricavi persi (-14 nel primo trimestre, -36 nel secondo), di 16 miliardi di risultato operativo in meno e di 18 milioni di utili volatilizzatisi (l’aggregato ha chiuso il periodo in rosso). Tuttavia in Borsa al calo del primo trimestre (-22,9%, 86 miliardi andati in fumo), ha fatto seguito il recupero con una ripresa di valore di 44 miliardi nel secondo trimestre e un rimbalzo del 15,1% nelle quotazioni rispetto ai livelli di fine marzo.
Tre blue chip hanno attraversato il semestre della crisi sanitaria portando a casa performance a due cifre: Diasorin (+45,9%), Recordati (+17,9%) e STM (+10,4%), che hanno anche aumentato i ricavi nella prima metà dell’anno. E perfomance positive sono state registrate inoltre da Enel (+8,4%), Inwit (+8,2%), Ferrari (+7,25%) e Terna (+2,7%). Male invece Eni che, col petrolio in sofferenza, è dimagrita di quasi il 39% in sei mesi.