La Stampa, 8 agosto 2020
Al capezzale dei ghiacciai del pianeta
«Non più dinamico». I glaciologi usano questa frase per indicare che il ghiacciaio è destinato a «morire». E quest’assenza di movimento, che può essere assimilata a una vita, è la malattia delle montagne e delle aree glaciali di tutto il pianeta. Il professor Claudio Smiraglia, di Milano, che da mezzo secolo studia il ghiacciaio di Forni, in alta Valtellina, nel gruppo Ortles-Cevedale, dice: «Le Alpi sono destinate ad essere sempre più simili agli Appennini, con fazzoletti di ghiaccio qua e là. Non avremo più l’ambiente variegato e sorprendete di oggi». Meraviglia in progressiva fusione, come il ghiacciaio di Planpincieux che sta minacciando in questi giorni Courmayeur. È un addio senza poesia, che rende la montagna ancora più fragile. All’improvviso emergono sui ghiacciai, effimeri laghi che aggiungono bellezza, ma sono indice di agonia. È accaduto lo scorso anno sul ghiacciaio del Gigante, cuore del Monte Bianco, qualche anno fa alle pendici della parete est del Monte Rosa, ai margini del ghiacciaio Belvedere, che aveva perfino dato segni di crescita. Illusione.
Le idrovore per prosciugare questi laghi sono già intervenute più volte sia sul Bianco, sia sul Rosa. E giganteschi laghi si formano nelle regioni himalayane, fermati da dighe naturali moreniche che vengono erose, abbattute e provocano morte e distruzione. Perfino aree glaciali di migliaia di chilometri quadrati sono ormai aggredite dalla febbre planetaria. Le coste della Groenlandia, così come quelle dell’Antartide sono fuse dalle acque tiepide degli oceani. «I ghiacciai più a rischio sono quelli che finiscono in mare», dice ancora Smiraglia. È il caso di due giganti, come l’Upsala, in Patagonia, o il Muir dell’Alaska, nella Glacier Bay. «Fondono con maggiore rapidità rispetto a quelli terrestri», spiega il glaciologo che proprio al Muir ha fatto campagne di ricerca.
I ghiacciai lasciano gigantesche morene, rocce levigate come teste calve. E il loro ritiro svela la forza inarrestabile della vegetazione: le piante pioniere, quali il génépy, prendono il posto del ghiaccio. I ghiacciai scompaiono alla vista, ma restano nascosti sotto i detriti, diventano fossili: lame nere lucide, paiono metalli, rocce simili all’ossidiana, vetro vulcanico. È il caso di lingue dei ghiacciai della Brenva e del Miage, sul versante italiano del Monte Bianco. È quanto resta anche del Calderone, l’unico ghiacciaio appenninico. Proprio i detriti evitano una sofferenza annunciata a uno dei più grandi ghiacciai della gigantesca catena del Karakorum, in Pakistan. È il Baltoro, copre vallate, raggiunge il piede del K2. «Quando i detriti sono di pochi centimetri – spiega Smiraglia – la fusione aumenta, ma quando superano i 10 cm allora preservano il ghiaccio. Accade sul Baltoro, lungo 60 km e in molte parti coperto da morena e massi».
Gli ultimi dati satellitari del catasto dei ghiacciai delle Alpi: 1.790 kmq (nel 2003 erano 2.100); in Italia i chilometri quadrati sono 325. La Svizzera negli ultimi dieci anni ha perso un sesto delle sue aree glaciali. Il ghiacciaio più grande delle Alpi (23 kma) è l’Aletsch, nel gruppo della Jungfrau, si ritira ogni anno di 200 metri. Il Morteratsch, nel gruppo del Bernina, tra Svizzera e Lombardia, è irriconoscibile. Dalla fermata del Trenino rosso fino a qualche anno fa distava pochi minuti a piedi, adesso ci vuole un’ora. Il ghiacciaio della Marmolada (Trento), la cima più alta delle Dolomiti, negli ultimi dieci anni ha perso il 30 % della superficie; quello di Forni, un tempo il più grande ghiacciaio vallivo italiano, è diviso in tre parti, indice di una sofferenza irreversibile.
Il cambiamento climatico mette a dura prova la resistenza dei ghiacciai africani. La candida vetta del Kilimangiaro è destinata in breve tempo alla nudità; il Lewis sul Kenya sta sparendo e quello che ancora mostra segni di timida tenuta è sul Ruwenzori, complice un clima più umido. Il più grande ghiacciaio del Monte Bianco, la Mer de Glace, sul versante francese, perde spessore a vista d’occhio. Negli ultimi vent’anni è sceso di 200 metri. Non è che la controfigura di come appare nel filmato del 1896 dei fratelli Lumière. La neonata settima arte mostrava un’impressionate massa glaciale che colmava una valle profonda un chilometro.