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 2020  agosto 08 Sabato calendario

Piazza Affari, con il Covid bruciati 27 miliardi di utili

Il Covid “ruba” 27 miliardi di utili da Piazza Affari. Il bilancio delle aziende dell’indice Ftse Mib nel primo semestre 2020 (tutte tranne Interpump e Exor che annunceranno i dati in settembre) si è chiuso con 2,7 miliardi di perdite, il primo rosso negli ultimi trent’anni, contro i 24,5 miliardi di profitti dell’anno precedente. Le aziende manifatturiere e di servizi – senza banche e assicurazioni – ne hanno bruciati ben 18 miliardi, calcola uno studio di Area studi Mediobanca, mentre la Borsa di Milano ha mandato in fumo tra gennaio e giugno 42 miliardi di valore, il saldo tra il crollo del primo trimestre (86 miliardi) e i 44 recuperati in primavera.
L’accurata radiografia dei ricercatori di Piazzetta Cuccia ai conti dei big europei e italiani conferma nei numeri come la crisi abbia lasciato in eredità un mercato a due velocità. I “buoni” del vecchio continente, vale a dire le multinazionali uscite dal Covid in condizioni migliori di quelle in cui erano entrate, sono le società tecnologiche che hanno visto le vendite salire del 17,6%, la grande distribuzione alimentare (+9,6%) che ha sfruttato il lockdown e la chiusura dei ristoranti e l’elettronica di consumo, che ha fatturato il 5,6% in più grazie al boom dei volumi di vendite di pc e tablet in un mondo che ha imparato all’improvviso a studiare e a lavorare a distanza. La maglia nera è andata invece alle aziende petrolifere (-33,8% i ricavi) penalizzate dal crollo del greggio, le aeronautiche (-31,8%) che pagano lo stop al traffico nei cieli, la moda e l’auto.
L’effetto-pandemia – calcola Mediobanca – è molto chiaro anche nei dati di redditività. Le aziende che hanno macinato più soldi sono state quelle del settore fintech – le realtà finanziarie che operano con tecnologie più avanzate – che hanno guadagnato quasi trenta centesimi ogni euro incassato, seguite dalla farmaceutica – non è difficile capire perché – a 26 centesimi e l’elettronica a 18,4. Anche a Piazza Affari il mondo post-covid delle grandi realtà manifatturiere è tutto in bianco e nero (soprattutto in nero) senza troppe mezze misure. I ricavi dei big sono calati di 50 miliardi, con una flessione del 25,3%. Il vero crollo collettivo, contrariamente a quanto successo per le quotazioni, è arrivato tra aprile e giugno quando la frenata del giro d’affari è stata superiore al 37%. Il comparto che ha perso meno colpi, vale anche per la redditività e il valore dei titoli in Borsa, è quello delle utility che hanno lasciato sul campo “solo” – si fa per dire – 14%, grazie a un business che macina entrare con bollette regolamentate. Il fanalino di coda è invece l’Eni, vittima della Caporetto del prezzo del greggio finito addirittura sottozero, in flessione del 40%, cifra che dovrebbe restringersi nella seconda metà dell’anno. In attivo sul fronte del fatturato ci sono solo Inwit grazie all’incorporazione di Vodafone Towers, Diasorin che ha beneficiato delle terapie per il Covid, Terna, Snam, recordati, Stm ed Hera.
Solo 11 delle 38 realtà dell’indice Ftse-Mib che hanno dato i risultati del primo semestre ha nno registrato un aumento dei profitti, e per la maggior parte si tratta di banche e assicurazioni. Tra le realtà di manifattura e servizi esaminate da Mediobanca il numero scende a sei. In due casi oltretutto – Telecom Italia e Buzzi Unicem – il risultato è stato reso possibile dalle plusvalenze, mentre per Recordati, Diasorin, Inwit e Terna il dato è più reale.
Guardando in avanti, il futuro grandi gruppi di Piazza Affari e delle multinazionali europee, dipende molto dalla rapidità con cui l’economia si rimetterà in moto dopo il lockdown. I primi dati, come l’indice Pmi sulla fiducia delle imprese, danno qualche ragione di ottimismo. Ma le incognite restano molte: la prima è l’incertezza sull’andamento della pandemia non solo nel nostro paese – poi c’è la tenuta del quadro politico nazionale e dei conti dello Stato, puntellati per fortuna dalla Bce e dagli aiuti Ue.