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 2020  agosto 07 Venerdì calendario

Fanfani parlò del gatto per 30 minuti

Caro Aldo,
mi ha colpito il giudizio di Giorgio Bocca su Fanfani. Davvero il grande toscano meritava parole così dure?
Giulio CardoniMilano

Caro Giulio,
Giorgio Bocca non ce l’aveva con Amintore Fanfani, ma con la partitocrazia, con il parastato, con l’occupazione di spazi crescenti della società e dell’economia da parte degli uomini di partito. Un fenomeno che, nella sua «Storia della Repubblica italiana», fa risalire appunto agli anni della segreteria Fanfani, e in genere del passaggio generazionale dalla Democrazia cristiana di De Gasperi a quella successiva. In realtà, il ritratto che Bocca traccia di Fanfani è abbastanza lusinghiero: «Viene da una famiglia borghese di Arezzo, una di quelle famiglie all’antica dove si aspetta, per mangiare, che il padre si sia seduto a tavola e dove se non mangi la minestra stasera te la ritrovi in tavola l’indomani. Identico da ragazzo a ciò che sarà da uomo maturo: dinamico, autoritario, religioso, prepotente. Va in cattedra a soli ventotto anni…».
Così invece Piero Ottone raccontava l’esilio di Fanfani in Svizzera: «Altri nella noia dell’internamento, lontani dalla famiglia, senza sapere quando sarebbe finita la guerra e quando sarebbero tornati a casa, diventavano nevrastenici. Fanfani conduceva invece una esistenza attiva e meticolosa. Ogni mattina alle otto andava a messa, aveva fissato l’ora di lettura, quella della passeggiata, della pittura. Camminava molto, avendo il permesso di andare per la montagna. Teneva un corso di lezioni e una volta ne tenne una sul modo di improvvisare un discorso. Volevano metterlo alla prova? I suoi allievi gli proposero come tema: il gatto. La sua prolusione sul gatto durò trenta minuti».