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 2020  agosto 07 Venerdì calendario

Beirut ha perso lo sbocco al mondo

Il porto di Beirut era il cuore pulsante del Libano. Un organo vitale. Che doveva funzionare, sempre, a ogni costo. Un destino beffardo, la caotica politica e le lotte intestine di cui è prigioniero il Paese dei Cedri dai tempi della guerra civile, la negligenza di chi lo amministrava, tutto ciò ha giocato un brutto scherzo ai libanesi. Il cuore del Paese non batte più. Un’esplosione di 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio ha spazzato via il porto.
E ora i libanesi si domandano come faranno ad andare avanti. Da dove arriveranno le merci in questo Paese che importa praticamente tutto ciò che consuma. Il Libano infatti è abbracciato dalla Siria, Paese ancora in guerra, mentre il confine meridionale si affaccia su Israele, Paese ricco ma in guerra con il Libano (e molti altri Paesi arabi) da decenni. Libano e Israele sono piccoli ma dinamici e potrebbero trarre grandi vantaggi, reciproci, da un commercio bilaterale. Ma la frontiera è chiusa, militarizzata, il commercio azzerato.
Lo sbocco commerciale sul mondo era dunque il porto di Beirut, con le sue 15 gru verniciate di blu e rosso, che si scorgevano dal cielo quando l’aereo si apprestava alla fase di atterraggio. Da questo scalo transitava il 75-80% delle merci importate ed esportate. Questa grande struttura a ridosso dei quartieri centrali della capitale, era connessa direttamente con 56 porti in tre diversi continenti e portava avanti attività con altri 300 porti nel mondo. Nel 2019, quando è scoppiata la grave crisi economica poi culminata nel default annunciato lo scorso marzo, le rendite del porto ammontavano a circa 200 milioni di dollari. L’anno precedente, quando le merci importate avevano superato i sette milioni di tonnellate, avevano abbondantemente superato i 300 milioni.
Il traffico è sempre stato notevole, anche nei momenti più bui. Nel 2019 il porto spostava un milione e mezzo di container, dava attracco a 3mila navi. La sua posizione strategica ne ha sempre fatto la porta per il Medio Oriente e l’India. Ma serviva anche e soprattutto ai libanesi. Era forse l’infrastruttura più strategica insieme all’aeroporto. E non è un caso che, così come per l’aeroporto internazionale, il controllo e la sicurezza fossero gestiti dagli Hezbollah, il movimento sciita alleato di ferro con l’Iran e nemico giurato di Israele.
La guerra in Siria ha di fatto chiuso per anni il confine e quindi il commercio. Da circa un anno il regime siriano ha ripreso il controllo di gran parte del territorio. Ma il commercio è ancora molto limitato. E le strade in alcune aree non sono ancora state messe in sicurezza.
Quanto ci vorrà ora a rimetterlo in piedi? I danni causati dall’esplosione sono ingenti, dai 3 ai 5 miliardi ha spiegato il governatore di Beirut. Il governo, nato solo pochi mesi fa e già messo nell’angolo dalle proteste, ostenta un ottimismo forzato. Probabilmente ci vorranno molti mesi, se mai riusciranno a farlo come prima. Ma il Libano non può permettersi di essere paziente. La gravissima crisi economica che lo sta attraversando è stata esacerbata dall’arrivo dell’epidemia. Aggravata dall’esodo biblico di rifugiati, un milione e mezzo di siriani in fuga dalla guerra. Il Libano è dunque balzato alle cronache per essere il Paese al mondo con il più alto rapporto tra rifugiati per abitante (uno su quattro). A risentirne sono state le già fatiscenti infrastrutture: la sanità pubblica,la rete dei trasporti, la disponibilità dei farmaci, i servizi di base. Tutto ciò non era stato concepito per reggere un repentino incremento demografico del 25 per cento.
Senza il porto ora ci si domanda dove arriveranno le merci, da dove gli alimenti, i farmaci, i macchinari per far funzionare gli ospedali. Solo per fare un esempio, l’esplosione ha spazzato via i silos di grano, (che contenevano 15mila tonnellate di cereali) e ora il Paese dispone di riserve per meno di un mese.
Quale la soluzione? Il governo sta concentrando gli sforzi sul porto di Tripoli, a nord del Libano. È la soluzione più fattibile. Ma la sua capacità è limitata. Non ha nemmeno un quinto delle gru del porto di Beirut. Avviare un commercio con Israele, attraverso il vicino porto di Haifa, è tutt’ora impensabile. Qualcuno ha accennato di potenziare il porto siriano di Latakia, vicino a Tartus dove si trova la sola base militare navale della Russia sul Mediterraneo. Ma ci vorrà tempo. E poi l’instabilità è ancora molto alta.
Vi è anche il progetto di ricostruire la ferrovia che da Beirut arriva in Turchia passando per Homs. Il Governo turco ha sempre mostrato interesse per questo progetto. Ma ci vorrà ancora più tempo. Qualunque soluzione si scelga, i prossimi mesi vedranno una congestione commerciale in tutta le regione. Si teme soprattutto per il carburante, il greggio e i prodotti raffinati necessari a far andare avanti un Paese già martoriato da black out programmati fino a 12-14 ore al giorno. Perché tutto ciò passava da quel porto dalle inconfondibili gru blu e rosse, schiacciate contro le case antiche dei quartieri cristiani di Beirut. Quel porto di cui ora il Libano è orfano.