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 2020  agosto 06 Giovedì calendario

Ritratto di Renato Brunetta

Proprio come l’immenso Mike Tyson, anche il nostro Renatino Brunetta, a fine carriera, vuole tornare sul ring e riprendersi quello che è suo, il titolo di miglior pugile della parola, capace di menare, a mani nude, smisurate categorie di avversari, i fannulloni pubblici, i magistrati assenteisti, i poliziotti sovrappeso, gli economisti incompetenti, i giornalisti ficcanaso, i conduttori televisivi strapagati. E, naturalmente, i comunisti che si annidano tra i banchieri europei, che sono ricchi, invidiosi e golpisti.
I soldi sono sempre stati la sua ossessione, per questo è diventato il principe degli economisti da combattimento – “meritavo il Nobel, altro che ministero” – e dunque non vede l’ora di salire in cima alla Commissione che dovrà distribuire consigli, avvertenze, proposte, sulla più grande Lotteria di Capodanno in arrivo della storia italiana, il Recovery Fund, 209 miliardi di euro, che dovranno ridare ossigeno all’economia finita in terapia intensiva causa Covid, oltre che da un trentennio di sgoverni, quasi sempre tolleranti con i più subdoli tra i nemici della Repubblica, i corrotti e gli evasori fiscali, le uniche due categorie professionali con le quali Brunetta non ha mai incrociato i guantini. Anzi: i due migliori della categoria li ha scelti a colpo sicuro, prima Craxi, poi Berlusconi.
Sarebbe lui il campione selezionato per agevolare il nuovo inizio bipartisan della legislatura e cioè una maggioranza giallo-rossa, con un po’ d’azzurro a levigare spigoli e numeri alle Camere. Sarà vero? Si vedrà.
Ma intanto onore al curriculum che in tanti firmamenti di lotta e di governo lo ha visto primeggiare. Specie in quello della baruffe e delle querele, visto l’ego smisurato che indossa su un carattere di ghiaia, ostinato in tutto, anche nell’obbedienza, una volta arruolato nelle quindici riprese. Lo è stato con il suo primo protettore, Gianni De Michelis, fino all’ultimo giro di rumba. E poi con Silvio, surclassando persino la fedeltà di Sandro Bondi, il segretario-poeta, e di Vittorio Mangano, lo stalliere-killer.
Il ghetto in cui nacque Brunetta, 26 maggio 1950, non era la Brooklyn dei riformatori per ragazzini disadattati e neri, ma la penombra della più bella città del mondo, Venezia, sestiere Cannaregio, malfamato assai a quei tempi, dove ancora oggi arriva l’ultimo gomitolo dei binari di terra ferma, e la prima risacca dei turisti da circondare con le bancarelle.
Tra quei piccioni, il babbo di Renatino faceva tutti i giorni dell’anno il venditore ambulante di gondolette di plastica nera e bamboline in vetro di Murano. Il figlio, dopo i compiti, lo aiutava: “Sui marciapiedi di Cannaregio ho imparato tutto, il lavoro e il sacrificio”. Racconta: “Eravamo poveri, vivevamo in nove in novanta metri”. Avendo quasi niente, si convinse di avere diritto a tutto, cominciando dal rispetto dei compagni di scuola, i più cattivi in ogni infanzia, bastava conquistarli: “Finivo il compito in classe in un quarto d’ora e poi lo passavo a tutti”. Studia di notte, si iscrive al Foscarini, “il liceo dei signori”, addirittura all’Università di Padova, facoltà di Scienze politiche. Quando gli studenti fanno le lotte per il 30 garantito, lui scende in battaglia: “Io ho la testa e voi no. Ma se prendiamo tutti 30, voi rimanete ricchi e io rimango povero”.
Lo arruola per primo De Michelis, la testa più fine del circo socialista, nominandolo consulente per l’economia e il lavoro. Passa non visto sotto l’onda di Tangentopoli, riemerge consulente di Giuliano Amato e poi di Carlo Azeglio Ciampi.
Pasticcia un po’ con gli incarichi universitari. Una prima cattedra la conquista a Roma, poi le polemiche per il concorso truccato lo obbligano a rinunciare. Ripiega sull’Università di Teramo. Infine il ritorno nella Capitale che vale una rivincita: “Sono il docente più bravo d’Europa”.
Nuota nella politica. Scrive il programma economico di Forza Italia, vantandosi di fare “due ore al giorno” di lezione al grande capo. Prova due volte a diventare sindaco di Venezia. Fallisce. In compenso conquista un seggio in Europa, dove si guadagna un posto nella classifica degli assenteisti. E l’unica traccia che lascia è una polemica giornalistica perché vola low cost, ma intasca il rimborso del biglietto pieno.
Finalmente al governo durante l’ultima avventura di Silvio B., anni 2008-2011, ministro della Pubblica amministrazione. Stagione per lui e per noi indimenticabile, visto che Renatino ha un talento per spararle grosse, tipo “taglieremo 300mila dipendenti pubblici entro il 2012”. E un’attitudine da crash-show durante i quali attacca i professori, i precari “siete la parte peggiore del Paese”, gli studenti, “andate a scaricare frutta ai mercati”, gli statali privilegiati, i bidelli inutili. Promette pogrom per i fannulloni. Manda “a morire ammazzata” la “sinistra per male”. Insegna a fare la pasta e fagioli in tv e insieme morde i giornalisti che non lo chiamano “onorevole”, assalta i conduttori che non gli dicono “in diretta” quanto guadagnano. Mena Fabio Fazio a prescindere. E Giulio Tremonti per antipatia pregressa.
A forza di insultare consulenti e assenteisti, in molti si sono chiesti se non stesse facendo i conti con il suo passato. Il che rende psichiatricamente interessante anche la sua ossessione contro le agenzie di rating, gli intrighi dei governi francesi e quelli dei banchieri crucchi che avrebbero organizzato il golpe del 2011, contro Berlusconi. Complotto della Spectre ad ampio raggio al quale dedica non uno, ma quattro libri. Che sorprendentemente gli pubblicano.
Come tutti i poveri che si sono fatti ricchi, ha comprato mattoni qui e là, a Venezia, a Roma, a Ravello, li ha moltiplicati con astuzia fino al pomposo casale sull’Ardeatina che con la celebre moglie Titti ha trasformato in un’azienda agricola con 25 ettari di vigne: “Produrrò 250mila bottiglie l’anno, è la mia nuova vita”. Se con la prossima commissione tornerà in quella vecchia, vedremo. Ci sarà da divertirsi. Ma questa volta gli infermieri, a bordo ring, avranno da bere.