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 2020  agosto 06 Giovedì calendario

I quattro propulsori che hanno spinto l’oro sopra quota 2mila

Punto primo, l’oro è un bene rifugio e protegge gli investimenti dalle tempeste finanziarie. Punto secondo, l’oro tutela i capitali da eventuali aumenti dell’inflazione. Terzo, l’oro (non distribuendo cedole) tende a salire quando i tassi delle obbligazioni sono bassi. Quarto, essendo quotato in dollari, l’oro (come tutte le materie prime scambiate in biglietti verdi) si apprezza quando il dollaro scende. Allo stato attuale delle cose tutte e quattro le potenziali forze propulsive del metallo giallo stanno spingendo nella stessa direzione. Gli investitori hanno bisogno 1) di assicurare il capitale da futuri shock finanziari 2) e da eventuali balzi dell’inflazione che le politiche fiscali super-espansive adottate dai governi per rilanciare le economie potrebbero generare. Queste politiche hanno spinto i tassi reali negli Usa sottozero (-1% nella scadenza a 10 anni, si veda grafico a sinistra) rendendo poco appetibili le obbligazioni 3) a vantaggio proprio dell’oro e, più in generale, degli asset reali che non distribuiscono cedole. Allo stesso tempo 4) il dollaro si sta svalutando rapidamente (il dollar index, che relaziona il dollaro con le principali valute globali, cede il 10% rispetto ai livelli di marzo).
Tecnicamente la pandemia ha creato i presupposti finanziari per cui l’oro avesse solo una direzione. Al rialzo. E così è stato. A inizio anno un’oncia costava 1.517 dollari mentre ieri veniva scambiata fino a 2.055, massimo di tutti i tempi. In percentuale fa +35%. Il livello dei 2.000 dollari era stato pronosticato da diverse banche d’affari ma la tempistica con cui la profezia si è autoavverata ha stupito un po’ tutti gli operatori.
Adesso resta da capire se c’è ancora margine di spinta o se siamo troppo in alto, a tal punto da avere le vertigini. C’è chi spannometricamente sottolinea che dal 2009 al 2011 – la precedente parentesi in cui la Fed aveva azzerato i tassi e attuato il quantitative easing – l’oro era cresciuto del 180% (da 700 a 1.900). Seguendo la stessa logica (essendo cresciuto dal 2018 “solo” del 70%) avrebbe ancora spazio per superare quota 3.000. Ma c’è chi, invece, più razionalmente invita a mantenere i piedi per terra, sottolineando che l’oro è giunto a un bivio storico. «Le opzioni sono due – spiega di Ipek Ozkardeskaya, senior analyst di Swissquote Bank -. Assistere alla creazione di un nuovo e robusto livello di supporto che costituisca la base per ulteriori guadagni, anche grazie al fatto che gli investitori stanno aumentando le coperture contro i crescenti rischi di inflazione globale causati da massicci stimoli monetari e fiscali, oppure ad una forte correzione al ribasso, qualora gli operatori più speculativi ritengano che non ci sia più molto spazio per un’estensione del rally in corso». Di sicuro molto dipenderà dall’andamento dei tassi reali Usa con cui l’oro presenta una spettacolare correlazione inversa. Se questi continueranno a sprofondare il prezzo dell’oro potrebbe darsi altri obiettivi. Altrimenti sarà dura restare là in alto.