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 2020  agosto 06 Giovedì calendario

L’ossessione di Voltaire per Shakespeare

«Mi è piaciuto immensamente mettere in luce le contraddizioni di un grande personaggio come Voltaire. Il celebre filosofo, il paladino di tante battaglie per la tolleranza, il personaggio più letto, criticato, temuto ed emulato del suo secolo, in realtà fu ossessionato per tutta la vita da un rivale morto decenni e decenni prima della sua nascita, cioè Shakespeare».
Mara Fazio Carandini sorride con elegante leggerezza. Raramente un saggio – in questo caso insieme storico, teatrale e filosofico – ha il passo di un avvincente romanzo storico. È certamente il caso di Voltaire contro Shakespeare, di Mara Fazio, uscito recentemente da Laterza. L’autrice (già docente di Discipline dello Spettacolo a La Sapienza di Roma, studiosa del teatro europeo dal Settecento al Novecento in un’ottica storico-comparatistica) ci svela – citando una gran mole di documenti, ma senza mai sottrarre al lettore il gusto del racconto e il piacere dell’aneddoto – il punto debole di monsieur Voltaire.
Mara Fazio lo indica con sintetica chiarezza: «L’autentica ambizione di Voltaire era diventare, con la sua opera, il terzo grande autore tragico francese accanto a Racine e a Corneille… e diventare immortale in Europa e in America soprattutto come il più grande dei poeti drammatici del tempo e così rappresentare l’impero culturale francese che aveva raggiunto l’Inghilterra, la Germania e la Russia». Si legge nel libro: «Essere autore tragico era all’epoca il ruolo più prestigioso a cui un letterato potesse ambire e a quella fama Voltaire mai avrebbe rinunciato, fino alla fine della vita». Nel 1718-19 arriva il clamoroso successo di Oedipe, poi nel 1724 il fiasco di Mariamne («nel finale il pubblico ride» annota con sarcasmo l’autrice). Poco dopo, nel 1726 a Londra, ecco l’incontro fatale. Voltaire scopre Shakespeare, a sua volta oggetto di una prima riscoperta nella sua terra, vede Amleto, Otello, Macbeth, Giulio Cesare, Riccardo III.
Per Voltaire che viene dalle leggi rigide del teatro tragico francese, è una clamorosa epifania: «Non è colpito dal linguaggio verbale, per lui ancora difficile da capire, ma dal linguaggio scenico, dall’azione. Shakespeare, che non infrange l’unità di luogo, la trascende o la ignora, con due parole trasforma il palcoscenico in una strada di Londra, in un bosco, in un palazzo, in una nave o nella terrazza di un castello. Grazie alla capacità degli attori di ricreare un universo di immagini, tutte le sue opere diventano un grande spettacolo pieno di frastuono d’armi, di cortei militari e di duelli… lo spettatore crede veramente che sulla scena sia scoppiata una tempesta, che la nave stia affondando...».
È l’irruzione della drammaturgia moderna sul palcoscenico inglese, poi europeo e mondiale. Una inarrestabile valanga di emozioni che travolge la freddezza accademica del mondo tragico francese, incluso Voltaire, e caratterizzerà l’intera contemporaneità, noi inclusi. Negli anni Voltaire alternerà giudizi sprezzanti a momenti di lucida ammirazione. L’atto finale del braccio di ferro tra un Grande Vivo, Voltaire, e un Grande Morto, Shakespeare, prevede la morte proprio di Voltaire a Parigi il 30 maggio 1778, tornato per vincere la sua ultima battaglia teatrale e tentare l’estremo (ma effimero) trionfo sulle scene con Irène. Scrive impietosamente Mara Fazio: «Irène era una tragedia senza vitalità, senza calore. Come aveva previsto Madame du Deffand, è un successo personale del vecchio Voltaire rientrato a Parigi, non della pièce». Per di più è un ritorno grottesco dopo il lungo autoesilio a Ferney: «Indossa la sua pelliccia di zibellino ricoperta di velluto rosso regalatagli qualche anno prima da Caterina II, e la grande parrucca alla Luigi XIV, un abbigliamento così singolare che “i bambini l’hanno preso per una maschera e l’hanno seguito schiamazzando”», si legge in una cronaca del tempo. Un fantasma vivo che lotta con un morto già da tempo vincente: «Scompare con lui l’esprit classique, la cultura che aveva incarnato. La tragedia resiste in Francia per qualche decennio, ma in Europa il successo universale di Shakespeare ne decreta ovunque la fine»
Naturalmente (anzi: soprattutto) c’è di mezzo la storia, ci rammenta Mara Fazio. Ovvero la guerra dei Sette anni. Scrive l’autrice, riferendosi all’atmosfera culturale che si respirava nell’Inghilterra del 1760: «Gli inglesi, che grazie alle vittorie sui mari e alla politica imperialista dell’incorruttibile ministro Pitt stavano vivendo un momento di orgoglio nazionale, si identificavano ormai con fierezza nella propria tradizione culturale, elisabettiana e shakespeariana, liberandosi così delle regole e dei pregiudizi francesi». Corneille viene apertamente criticato in Inghilterra, un affronto inaudito. Con il trionfo inglese nella guerra dei Sette anni, comincia l’inarrestabile declino del primato culturale francese in Europa. Dopo la morte di Voltaire «nei Paesi anglosassoni come in Germania, nei Paesi scandinavi e poco alla volta in tutto il mondo, Shakespeare diventa il centro del canone occidentale, l’autore supremo di ogni tempo e luogo». Soprattutto, dopo quel conflitto, conclude Mara Fazio, «se fino all’inizio del Seicento la lingua dell’Europa colta era stata l’italiano, e nel Settecento il francese, la vittoria inglese getta le basi di un cambiamento epocale. A partire dal XX secolo, soprattutto nell’ultimo dopoguerra, la lingua prevalente in tutto il mondo sarà l’inglese. La disperazione del vecchio Voltaire mostra che aveva perfettamente intuito il destino che sarebbe prevalso». E a voce, Mara Fazio aggiunge una estrema, spietata tessera: «Infatti Voltaire non è più rappresentato in Francia dal lontano 1930…».
Annotazione finale, non legata a Voltaire né a Shakespeare. Chi dubitasse della resistenza di un vero amore coniugale dopo anni e anni, legga pure la splendida dedica del libro indirizzata da Mara Fazio al marito Andrea Carandini, il grande archeologo: «Ad Andrea, lettore e indagatore infaticabile e appassionato, che ha sempre capito e difeso il mio bisogno di viaggiare nello spazio e nel tempo».