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 2020  agosto 06 Giovedì calendario

Beirut, il carico esplosivo nell’hangar 12

Per settimane la Rhosus, cargo russo con bandiera moldava, segue le rotte del Mediterraneo. Va ovunque, fino ad approdare per guai tecnici a Beirut. È il 21 novembre 2013. Gli ispettori libanesi salgono a bordo e trovano nelle stive oltre 2 mila tonnellate di nitrato d’ammonio imbarcate in Georgia e destinate al Mozambico. Componente che puoi usare per realizzare fertilizzante, ma anche esplosivo.
Le autorità dispongono il sequestro in quanto vi sono irregolarità, la nave è lasciata dal proprietario al suo destino, il carico finisce nell’hangar 12, in riva al mare. Sperano che sia una soluzione temporanea, il contenuto del mercantile rischia di diventare una «bomba». Invece trascorre solo del tempo, nulla accade.
Il 26 giugno 2014 – come rivela l’emittente satellitare araba Al Jazeera — il direttore della Dogana, Shafik Merhi, invia una prima lettera ai superiori chiedendo istruzioni, mette in guardia sui rischi gravissimi. Seguiranno altre cinque segnalazioni negli anni successivi, allarmi ignorati, i funzionari non si preoccupano neppure di rispondere. All’esterno si valutano alcune opzioni: l’esportazione del materiale, la consegna all’esercito, la vendita ai privati. Si parla e non si agisce mentre la «bomba» può diventare instabile. Fino alle conseguenze irreparabili. E purtroppo è quanto avviene nel pomeriggio di martedì, con la prima deflagrazione seguita da quella più devastante.
Le immagini mostrano il fungo e poi l’onda d’urto, come un’enorme bolla d’aria che sventra il cuore di una città martoriata, ma che non ha mai visto una ferita di queste proporzioni. È la Ground Zero libanese.
Ci si chiede come mai non si siano adottate contromisure. È il primo mistero del disastro – imputato per ora alla «negligenza» – seguito dal secondo: dentro i capannoni avevano stoccato degli altri ordigni? Molti esperti lo sospettano. E se ne fosse accertata la presenza è chiaro che potrebbe prendere quota l’ipotesi di un atto doloso. A chi appartenevano? Era noto a qualche ufficiale? Scenari da dimostrare.
In attesa delle indagini possiamo speculare all’infinito accompagnati dal detto, cucito sulla pelle di Beirut, che «non ci sono verità, ma solo versioni». C’è chi rammenta come il leader dell’Hezbollah filo-iraniano, Hassan Nasrallah, in un discorso del 2017, avesse minacciato di centrare con missili i depositi simili ad Haifa, in Israele, per scatenare la reazione a catena. Invece è successo nella sua città, dove ha rifugi e fabbriche segrete. Suggestioni parte di un conflitto mai chiuso dove propaganda e fatti sono la costante.
Da decenni il nitrato, «impastato» con altri prodotti, si è tramutato in un’arma povera quanto letale. I filmati diffusi dalle fazioni siriane hanno mostrato effetti impressionanti, in particolare quando gli insorti hanno scavato tunnel sotto postazioni nemiche, li hanno riempiti di miscele simili per poi farli detonare sollevando montagne di terra. Un doppio impiego, terroristico e sul campo di battaglia.
Prima di loro una lunga lista. I separatisti baschi dell’Eta, gli estremisti greci, altri guerriglieri mediorientali e cellule più piccole, i lupi solitari. I qaedisti con il primo attacco alle Torri Gemelle nel 1993. I suprematisti bianchi a Oklahoma City, nel 1995, con 168 morti provocati da 2 tonnellate e mezzo.
Anders Breivik, lo xenofobo norvegese che ha colpito con il fucile a Utoya e l’auto-bomba a Oslo. Poi i talebani riforniti da fabbriche nel vicino Pakistan per lanciare le incursioni suicide. Conflitti, tragedie, a volte, incidenti causati dalla volontà dell’uomo, dagli errori, dalla superficialità e dalla composizione maledetta.