La Stampa, 5 agosto 2020
John Johnson, l’editore che inventò il pubblico nero
Le probabilità che John H. Johnson diventasse un multimilionario erano scarse come i mezzi grazie ai quali sopravviveva la sua famiglia. Nato nell’Arkansas rurale nel 1918, nipote di schiavi, un padre ucciso in un incidente di segheria quando lui aveva soli sei anni e una madre cuoca e lavandaia che l’ha cresciuto da sola, Johnson è più del classico self-made man che si è fatto da solo. È l’editore afroamericano più di successo nella storia dell’editoria, fondatore di Negro Digest prima e poi di Ebony, la rivista che arriva a fare concorrenza a Life, pensata per un pubblico – quello di colore – fino a quel momento escluso dai prodotti editoriali che rappresentavano solo individui bianchi e che tra i suoi collaboratori poté vantare anche Eleanor Roosevelt, autrice di due articoli.
È anche per questo suo ruolo rivoluzionario di inventore di un genere ma anche di un pubblico che a quindici anni dalla morte, avvenuta nel 2005, la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli vuole celebrare, proprio l’8 agosto, la figura di John Johnson, inserendolo nel suo calendario civile. Lo strumento è il Fondo Bruno Cartosio, donato alla Fondazione dal noto americanista tra il 2018 e il 2019, una documentazione pluridecennale sui temi cari allo studioso, dalla questione razziale alla politica estera Usa, dalle elezioni presidenziali all’emigrazione, passando per l’economia e il sindacalismo si mischiano a riviste della controcultura americana, così come a numeri di Ebony in un periodo, quello degli Anni 60, in cui il mensile raggiungeva un pubblico di oltre un milione e mezzo di lettori. «Volevo capire cosa volesse dire essere afroamericano nella società statunitense, quella società che aveva registrato la schiavitù fino oltre la metà dell’Ottocento e che aveva vissuto la segregazione. Erano gli anni Sessanta, i miei interessi erano focalizzati inizialmente a capire la letteratura e quello che stava dentro e dietro la letteratura, poesie, saggistica, romanzi, Richard Wright, James Baldwin», racconta Cartosio.
Negli Usa ci va per la prima volta nel 1969 e da allora ogni anno, iniziando a collezionare quello che si trova oggi nell’archivio Fondazione Feltrinelli: materiali, recensioni, ritagli da giornali, riviste. Una raccolta fatta in un modo che Cartosio definisce «onnivoro e forse impreciso» ma che ha già una connotazione fortemente militante, concentrandosi sulle minoranze e sulla lotta per i diritti civili. «Ovviamente i conflitti razziali erano al centro di questa storia: la parte principale dei documenti raccolti era quella più lontana da noi, anche perché gli afroamericani in Italia non c’erano ancora. Quel tipo di sollecitazioni, motivazioni, atteggiamenti, pregiudizi, dinamiche più o meno conflittuali non erano note, e proprio per questo era importante informare».
Al centro c’è la figura di Johnson e la sua intuizione: un prodotto editoriale che parli e racconti il ceto medio afroamericano, quello a cui lui stesso, dopo molte fatiche, era riuscito ad appartenere. Fondata nel 1945 e chiaramente ispirata a Life, Ebony non è una rivista di rottura in senso politico stretto, ma lo è dal punto di vista economico e storico, dal momento che introduce gli inserzionisti a un nuovo mercato. È un catalogo della cultura, delle letture, dei comportamenti, dei modelli di abbigliamento, delle creme di bellezza, delle brillantine, rivolto a un mondo che ha soldi da spendere e vuole sapere come.
In una vecchia intervista pubblicata nel 1974 su Nation’s Business Johnson racconta di essere andato lui stesso a parlare ai dirigenti della Zenith, all’epoca nota marca di elettrodomestici, per convincerli a investire. «Abbiamo un impegno con i nostri lettori», dice Johnson in quella conversazione. «Li studiamo, li comprendiamo, ci mescoliamo con loro. Ebony dà ai neri quello che non possono trovare altrove: ispirazione, identificazione e ragioni per sentirsi orgogliosi del loro retaggio culturale». «Infatti il destinatario di Ebony è quella società media, parzialmente acculturata che ormai ha cominciato a esistere nelle metropoli e che si può, questa la scommessa di Johnson, ritenere destinataria e utilizzatrice di modelli di cultura e di comportamento sociale», spiega ancora Cartosio. «Una cultura nera che nasce in metropoli come New York, Chicago, Kansas City, Atlanta, un ceto intellettuale nero – romanzieri, poeti, drammaturghi, scrittori – legittimato sul piano nazionale che esce dai canali del varietà, ma passa attraverso la letteratura, in parte la saggistica sociale, sociologica e storiografica e in parte attraverso la musica».