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 2020  agosto 05 Mercoledì calendario

Tutti i problemi del Libano

Un amico libanese tre anni fa mi portò davanti a una delle innumerevoli banche di Beirut, i veri monumenti della città : «Vedi, fino a quando queste funzioneranno il Paese è salvo. Non c’è guerra o turbolenza che possa mettere in discussione l’incredibile miracolo del mio Paese».
Il cielo di Beirut ieri sera si blindava di squame livide, rossastre per una catastrofica e misteriosa esplosione che ha squassato il porto e la città. Chissà se il mio amico potrebbe ancora ripetere quelle sillabe presuntuose. E’ vero, il Libano sembrava poter resistere a tutto, più i Paesi vicini venivano risucchiati dal furore degli eventi e cercavano di trascinarlo con sè, più resisteva e rinasceva dalla cenere. Beirut era un luogo imperfetto, un po’ volgare, un po’ vizioso, un po’ furbo.
Ma accanito sfacciatamente a sopravvivere, a domare un storia spesso imbizzarrita e crudele. Il libanese con la sua volontà accanita, la dolorosa pazienza, un antico decoro ci stupiva sempre.
E ora? Il miracolo libanese è avvilito e ottuso, un deliberato inganno, una pia frode destinata pare a spegnersi nella impotenza politica e nella catastrofe economica. La moneta che aveva resistito a tutto ha perso il 60% del suo valore, lo Stato ha dichiarato fallimento decapitato da un debito che è il 160% del Prodotto interno lordo; il 45% dei libanesi vivono sotto la soglia di povertà. La pandemia pesa come un macigno anche qui, con un sistema sanitario al collasso, mancano a tratti la corrente elettrica e l’acqua e il telefono come nelle città devastate dalla guerra e dalle miserie del vicino oriente, la vita quotidiana si è fatta travagliosa, piena di crucci e paure.
Israele e hezbollah, il partito di dio sciita, con il suo esercito bis si scambiano segnali di guerra. Tutto parla di declino, povertà, inimicizia, impotenza. Forse a malincuore bisogna rassegnarsi: il Libano è un’altra primavera che si estingue, arrivata in ritardo con le manifestazioni dell’ottobre del 2019. Da esplosione euforica, vibrante contro scompigli disastri e imposture è diventata cattiva, colma di un selvatico risentimento, in preda alle strumentalizzazioni di gruppi estremisti. Non poteva essere diversamente, forse: troppo divisa all’interno senza una leadership capace di guidarla, zavorrata dall’avvento del coronavirus e dalle difficoltà della vita quotidiana che hanno costretto alla resa molti entusiasmi.
Sunniti e cristiani accusano hezbollah di essere la causa dei problemi del Paese mentre Trump che spera di piegare una costola essenziale del grande progetto sciita e iraniano, muove la leva delle sanzioni, sfrutta il tracollo economico. Hezbollah combatte in Siria dove ha salvato Bashar e addestra gli huthi dello Yemen. Ma l’idea che il partito di Nasrallah sia indebolito e stia per perdere il controllo del Libano è probabilmente illusoria. Anzi: gli attacchi americani rinsaldano il legami nella comunità sciita, offrono argomenti per tacitare i dubbiosi.
Il problema è che dopo molti anni il Libano deve drammaticamente reinventarsi. Il suo modello economico che si basava su un debito sfrenato fino dagli anni Novanta non regge più, il Paese deve imparare a produrre mentre oggi importa praticamente tutto, l’aiuto della diaspora potente e ricca (il 12% del Pil) non copre più come una protesi ortopedica gli abissi del debito.
Ma è soprattutto sul piano politico che tutto deve cambiare perché tutto è finto. Ha fallito una classe politica formata da uomini corrotti, da spregiudicati acrobati del compromesso, da capi clan che hanno convertito la mimetica delle milizie con il doppiopetto ministeriale, gente che si sollazza negli equilibri più impropri e vietati. Continuano imperterriti a dominare le loro tribù illudendole di essere lo scudo dei loro interessi e della loro sopravvivenza: praticano solo i loro affari.