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 2020  agosto 05 Mercoledì calendario

Il rapporto tra La Russa e Meloni

«Be’, con i se non si può fare la storia. Però questa cosa può essere stata un po’ una sliding door», una di quelle porte scorrevoli della vita che, a seconda che il protagonista riesca a varcarla o meno, cambia il corso degli eventi. Ignazio La Russa sta raccontando la genesi di Fratelli d’Italia e della leadership di Giorgia Meloni quando a un certo punto, dal suo album dei ricordi, riaffiora la storica frase sul «quid» con cui Silvio Berlusconi sbarrò ad Angelino Alfano la strada per la guida dell’allora Popolo della Libertà. Senza quella frase, marzo 2012, il partito dei Fratelli d’Italia (forse) non sarebbe nato e la Meloni (forse) non sarebbe qua a contendere a Salvini la leadership del centrodestra.
«Giorgia la conosco da quando aveva sedici anni», racconta La Russa. «Pensi che quando poi è diventata presidente di Azione giovani, l’organizzazione giovanile di Alleanza nazionale, il gruppo mio e di Maurizio Gasparri sosteneva la sua candidatura nonostante lei venisse da un gruppo più vicino alla Destra sociale. Tempo qualche anno, siamo nel 2011, avevo già capito che solo con la sua leadership le nostre idee e i nostri valori avrebbero potuto andare avanti, nel futuro. Infatti la incontro nel mio ufficio e glielo dico a voce: “Giorgia, io punto su di te, per me sei la nostra leader di domani”. Qualche mese dopo, stavamo ancora tutti nel Pdl, Berlusconi apre alla nostra idea di scegliere il segretario con le primarie; io e Gasparri, per evitare che ci ripensasse, prendiamo la palla al balzo e decidiamo di sostenere il suo candidato, che era Alfano. Meloni, però, non fu d’accordo con noi. Mi disse “Ignazio, mi voglio candidare alle primarie”. A Gasparri la cosa non piacque... Per fortuna, poi, Berlusconi se ne uscì con la frase sul quid di Alfano, le primarie non si fecero e il Pdl andò a morire...».
La Russa e Meloni, un tandem indissolubile, mai una gelosia, mai una lite pubblica. «Discussioni sì, tante. Ma è come se discutessi con una sorella minore», dice. Quando lui è uno dei leader del Fronte della Gioventù milanese e guadagna una ribalta nazionale anche grazie al filmato finito nei titoli di testa di Sbatti il mostro in prima pagina, film di Marco Bellocchio del 1972, lei non è neanche nata. Si incrociano in An, diventano un tandem nel governo Berlusconi, con lui ministro della Difesa e lei al dicastero della Gioventù. Racconto inedito: le celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia li portano, assieme, a un passo dalle dimissioni. «Berlusconi e un pezzo di FI, per non far dispiacere a Bossi, decidono di commutare le celebrazioni del 150mo in una cosa light, due ore di stop dal lavoro e dalle scuole e basta. Io, dopo aver parlato col presidente Napolitano, vado in consiglio dei ministri e minaccio le dimissioni. Giorgia mi segue e minaccia le dimissioni anche lei. Ne nasce una discussione di ore ma alla fine l’abbiamo vinta noi. E le celebrazioni diventano quello che ricordate: la doppia Coppa Italia di calcio, la serata al Festival di Sanremo, la rievocazione del viaggio in treno del milite ignoto...».
Neanche due anni dopo, pochi giorni prima del Natale 2012, Fratelli d’Italia vede la luce. «Io ero andato da Berlusconi a dirgli che volevo fare una separazione consensuale e lui, con la cortesia dell’ospite che però non vede l’ora di mandarti a casa, mi diceva “ma no, Ignazio, rimanete, c’è spazio per tutti”. “Silvio, ma tu vuoi rifare Forza Italia, che c’entriamo noi?”. Poi lancio Centrodestra nazionale in diretta da Vespa. Arrivano Giorgia, Guido Crosetto e Rampelli, poi tra cento nomi decidiamo che quello con più appeal è Fratelli d’Italia», dice La Russa. Oggi Meloni studia da presidente del Consiglio. «Ecco, si fermi qua. Vede, noi, che abbiamo vissuto la storia di Gianfranco Fini, siamo vaccinati. E Giorgia quindi sa benissimo che meno lavori con l’obiettivo unico di fare il presidente del Consiglio e più possibilità hai di diventarlo». Schema di gioco? «Meloni fa l’unica punta. Io faccio il centrocampista, non la seconda punta e nemmeno il trequartista o il regista», scandisce La Russa. Il risolvi problemi. «Un po’ alla Lodetti o, per usare un riferimento contemporaneo, alla Niccolò Barella».