Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2020
A società cinesi milioni di aiuti anti Covid degli Usa
Il programma federale di aiuti anti-pandemia alle piccole imprese negli Stati Uniti, secondo le stime del governo, ha salvato 50 milioni di posti di lavoro. Ma il Payroll Protection Program è stato perseguitato da critiche: tra i 660 miliardi erogati sono venuti alla luce finanziamenti a favore di società grandi e quotate, costringendo il segretario al Tesoro Steven Mnuchin a chiederne la restituzione, mentre hanno tardato soccorsi a vere Pmi. Adesso, tra gli sforzi per lanciare nuovi soccorsi con maggiori controlli, esplode un nuovo scandalo: decine e forse centinaia di milioni di dollari del PPP sarebbero finiti ad aziende con stretti legami con la Cina.
Almeno 192 e fino a 419 milioni di dollari in prestiti, a fondo perduto se usati anzitutto per preservare posti di lavoro, sono arrivati a imprese controllate o partecipate da gruppi o investitori di Pechino.
La scoperta ha destato scalpore perchè l’amministrazione Trump ha alzato il tiro della rivalità economica con Pechino, citando la necessità di mantenere primati tecnologici e preoccupazioni sulla sicurezza nazionale. L’ultimo caso ha coinvolto il social media TikTok controllato dalla cinese ByteDance: Trump ha dichiarato che TikTok dovrà chiudere negli Stati Uniti se non verrà acquisito entro il 15 settembre da una società quale Microsoft. Il Ceo di Microsoft Satya Nadella aveva parlato nel fine settimana con Trump e annunciato di voler proseguire le trattative per rilevare entro metà settembre le attività di TikTok in Usa, Canada, Australia e Nuova Zelanda.
La necessità di ulteriori aiuti per le Pmi è stato invocato dallo stesso Nadella e da oltre cento chief executive della Corporate America, da Walmart a Facebook e American Express, in una lettera inviata al Congresso e che chiede interventi urgenti per scongiurare «catastrofi».
I fondi del PPP ricevuti dalle imprese legate a Pechino evidenziano tuttavia le irrisolte tensioni sulla sua gestione. Sono stati svelati da uno studio della Horizon Advisory: tra i beneficiari ci sarebbero 125 imprese legate a Pechino, 32 che hanno ottenuto oltre un milione ciascuna per un totale di 180 milioni. «Natura e ampiezza dei gruppi che hanno ricevuto prestiti e sono collegati alla Repubblica popolare cinese, o da questa controllati o partecipati, mostrano che in assenza di politiche di salvaguardia i fondi dei contribuenti rischiano di sostenere concorrenti internazionali, anzitutto la Cina», scrivono gli autori.
Richieste di prestiti PPP da parte di filiali e controllate di società estere sono in realtà del tutto legali. E lo studio ammette che gli aiuti, anche a imprese “cinesi”, hanno difeso i livelli occupazionali. Precisa però che numerose società avevano accesso ai mercati dei capitali senza dover ricorrere ad aiuti governativi. E che alcune operano in settori delicati: da Continental Aerospace Technologies, che ha ottenuto 10 milioni di dollari, a Aviage Systems, che ha ricevuto 350mila dollari. Entrambe sono della Aviation Industry Corporation of China, classificata dal Pentagono quale gruppo della difesa di Pechino. La farmaceutica Dendreon, di Nanjing Xibai e legata al partito comunista cinese, ha ricevuto 5-10 milioni. Nomi controversi con un milione a testa sono Hna Group of North America e Hna Training Center NY, filiali della conglomerata Hna Group, conglomerata. Bgi Americas, del protagonista cinese nella ricerca genetica Bgi Group, ha preso un milione per poi restituirlo. Nel fintech Citcon Usa, che collega aziende Usa a piattaforme cinesi quali Alipay, ha ottenuto fino a 350mila dollari.
Il PPP ora sotto il microscopio è stato un pilastro della strategia da 2.200 miliardi varata da Congresso e Casa Bianca in marzo, ideato formalmente per salvare imprese con meno di 500 dipendenti a fianco di sussidi straordinari di disoccupazione e sostegno al reddito familiare.