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 2020  agosto 04 Martedì calendario

Intervista doppia a Kurzak-Alagna


È proprio vero che nella lirica ogni dramma è un falso? Pare di no, qualche volta la pozione funziona!
Complice l’ Elisir d’amore , nel 2012, il tenore Roberto Alagna, nato a Parigi da genitori siciliani, e Aleksandra Kurzak, polacca, figlia d’arte, si sono innamorati e hanno messo su famiglia. Nonostante la differenza d’età - lui 57, lei 43 da compiere il 7 agosto – hanno fatto insieme una carriera fulminante: star del Metropolitan, divi del Covent Garden e mattatori all’Arena di Verona, a Vienna e alla Scala, dove Alagna manca da anni a causa del noto incidente del 2006, quando, durante la seconda rappresentazione dell’ Aida diretta da Chailly con la regia di Zeffirelli, fischiato da una parte dei loggionisti, si rifiutò di completare la recita (al suo posto cantò Antonello Palombi senza costume di scena). Il 9 e l’11 agosto la coppia sarà al Teatro di Verdura di Palermo per una Cavalleria rusticana che è parte del programma estivo del Teatro Massimo. La Kurzak ha appena pubblicato l’album Desire , con arie da Tosca, Trovatore , Carmen e Turandot ; Alagna, che dopo la morte prematura della prima moglie Florence Lancien ha avuto una lunga relazione sentimentale e professionale con Angela Gheorghiu, pubblicherà a ottobre Le chanteur , un cd di musica leggera in cui duetta con sua moglie e le figlie Ornella e Malena, e da settembre 2022 sarà protagonista a Parigi del musical Capone et les incorruptibles . Il 16 agosto parteciperanno insieme a una serata organizzata dal Met e trasmessa in streaming da Èze, in Costa Azzurra. Hanno trascorso il lockdown nei pressi di Parigi; «Roberto era tornato da Vienna un giorno prima per vedere i suoi genitori, io ero a Londra per Traviata , che ha chiuso i battenti dopo la prima recita, anche se l’Inghilterra si comportava ancora come se la pandemia non esistesse. Ho fatto appena in tempo a rientrare a casa prima che chiudessero le frontiere», esordisce la Kurzak. Intervistarli via Skype è uno spasso, si prendono in giro, si spalleggiano, si coccolano.
Quanti progetti andati a monte in questi mesi?
AK: «Tantissimissimi…».
RA: «…E siamo lontani dalla ripartenza, il Metropolitan non riaprirà prima del 2021, lo stesso vale per il Covent Garden. Peccato, ci tenevo tanto a fare questo ritorno alla Scala con la Fedora , per non parlare della Cavalleria Rusticana, i Pagliacci che dovevamo fare insieme all’Arena di Verona…».
AK: «…E una Carmen a settembre allo Stade de France di Parigi, cancellata qualche giorno fa».
RA: «Spero ancora di poter fare a novembre il mio primo Wagner, Lohengrin , a Berlino con Sonya Yoncheva».
Cosa dobbiamo aspettarci dalla "Cavalleria Rusticana" a Palermo?
AK: «Musica bellissima, e per me un grande debutto, è la prima volta che interpreto Santuzza e sono felice di farlo a Palermo con un Turiddu siciliano doc. Il cuore di Roberto si scalda quando si parla della Sicilia».
RA: «Non torno in Italia da troppo tempo, era ora!».
Avete un background molto diverso, quando è iniziata la vostra love story con l’opera?
AK: «Nella pancia della mamma, che è soprano (Jolanta ?murko, ndr) ed è stata la mia maestra - mentre papà (Ryszard Kurzak) suonava il corno.
Ho iniziato a sette anni col violino, poi per dodici anni ho studiato pianoforte, infine ho scelto canto».
RA: «Io invece sono autodidatta, anche se il canto è una tradizione di famiglia. Il mio bisnonno Jimmy, nato in America, conosceva Caruso; la mia bisnonna, con la quale sono cresciuto fino a vent’anni, mi raccontava storie incredibili. Dalla parte di mia madre tutti cantavano lirica, dalla parte di mio padre canzoni tradizionali siciliane e musica leggera. Ero affascinato in egual misura dai due mondi, ma la lirica era per me come il calcio di serie A. Da bambino ero così timido che non riuscivo a cantare in pubblico, poi, quando avevo dieci anni, mi regalarono una chitarra; lo strumento mi faceva sentire protetto, e cominciai a cantare. A quindici anni mi esibivo nelle pizzerie per gli amici, a diciassette ero già professionista nei cabaret, a venti la prima opera».
I vostri primi idoli?
AK: «Mia madre e Mirella Freni.
Roberto ha avuto il piacere di cantare con lei, era il suo Rodolfo preferito, io purtroppo non l’ho conosciuta».
RA: «Caruso e Mario Lanza. Il mio bisnonno, che era anche lui un tenore, li aveva conosciuti. La mia bisnonna Antonietta mi diceva sempre, tu hai la voce di mio marito.
Consideravo Caruso uno di famiglia.
È stata un’emozione dedicargli, l’anno scorso, l’album Caruso 1873 . Fu un maestro cubano che aveva studiato con Pertile a guidarmi verso la professione. Poi, nel 1988, avrei vinto in concorso Pavarotti, e da lì…».
Che ricordi ha di Big Luciano?
RA: «Lo conobbi nel 1985 in un negozio di dischi dove si era fermato ad autografare copie, avevo per lui un’ammirazione enorme. Ci siamo parlati due giorni prima che morisse, una telefonata molto toccante.
Luciano era speciale, parlava poco, lanciava delle battute. Gli dissi, maestro ti voglio bene; e lui: anche io ti voglio bene. Poi: non perderti straniero (da Turandot , ndr), ricorda le tre note! Un messaggio in codice tra noi due».
Qual è stato il momento magico della vostra carriera?
RA: «Non l’ho ancora capito. Giuro!
Sono andato per la mia strada, ho fatto quello che amavo, mi considero ancora uno studente».
AK: «Il debutto al Met, a ventisette anni, la prima volta che cantavo fuori da Amburgo. Ero su una nuvola, pensai: non importa se andrà male, l’importante è esserci stata almeno una volta. Io sono cresciuta in Polonia sotto il comunismo, frontiere chiuse, il mio unico momento di esaltazione era quando la tv trasmetteva, una volta al mese, le opere dal Met.
Ricordo ancora un Rigoletto col baritono Leo Nucci che mi mandò fuori di testa. Chi avrebbe mai pensato che nel 2010 avrei debuttato alla Scala come Gilda in un Rigoletto con Leo Nucci!».
E un momento difficile?
RA: «Ogni sera. Portare al termine una recita non è cosa semplice. I critici pontificano, non si rendono conto di quanto sia difficile».
AK: «Quella terribile recita alla Scala fu un momento terribile per te…».
RA: «Uno choc. Dopo quell’incidente non riuscii più a metter piedi a Milano, ci andavo controvoglia anche solo come spettatore. Lo considerai un tradimento. Fino a quel momento, La Scala era casa mia. Quando la mia prima moglie stava morendo, io ero alla Scala con Mirella Freni, facemmo una Bohème tra le lacrime. Acqua passata. Alla fine, mi sono detto: sono passati quattordici anni, dobbiamo chiudere questa storia, facciamo Fedora . Peccato sia stata cancellata causa Covid. Destino».