la Repubblica, 4 agosto 2020
Juan Carlos lascia la Spagna
Via dal palazzo della Zarzuela, ma anche via dalla Spagna. Screditato dal sospetto di corruzione, assediato dalla magistratura elvetica e dal Tribunale supremo di Madrid, Juan Carlos di Borbone ha già abbandonato il Paese del quale è stato monarca per 39 anni, fino all’abdicazione a favore del figlio Felipe VI nel giugno del 2014. Destinazione incerta, ma tra le ipotesi c’è la Repubblica Dominicana, dove risiede il miliardario Pepe Fanjul, suo intimo amico. Per tentare di salvare la forma, forse anche la dignità, è stato lui stesso a comunicare la decisione con una lettera all’attuale sovrano («Maestà, caro Felipe, di fronte alla ripercussione pubblica che stanno generando certi fatti passati della mia vita privata…»), quando tutto lascia pensare che la sua uscita di scena sia il frutto di un’imposizione dello stesso re, sottoposto nelle ultime settimane a forti pressioni da parte del governo Sánchez, preoccupato dagli effetti dello scandalo sulla stabilità dell’istituzione monarchica. Felipe comunque, esprime «sentito rispetto e ringraziamento» per la decisione e ricorda «l’importanza storica» del regno di suo padre.
Conti correnti in Svizzera, società offshore in paradisi fiscali, un’ex amante diventata avversaria e nemica: c’è di tutto nella telenovela che fa tremare la casa dei Borbone. Una storia che, si è saputo solo pochi mesi fa, comincia nell’estate del 2008, quando Juan Carlos, allora sovrano regnante, riceve una donazione di 100 milioni di dollari dal ministero delle Finanze dell’Arabia Saudita su un conto del banco elvetico Mirabaud a nome della fondazione panamense Lucum, legata al re emerito. Un ringraziamento sotto forma di tangente dell’allora re Abdallah – è l’ipotesi formulata in tempi recenti dal magistrato svizzero Yves Bertossa – per la mediazione svolta da Juan Carlos nella trattativa che portò all’aggiudicazione a un consorzio di 12 grandi imprese spagnole dell’appalto per la linea ferroviaria ad alta velocità tra La Mecca e Medina.
Quattro anni dopo, una parte consistente di quel denaro, 65 milioni di dollari, viene trasferita sul conto di Corinna Larsen, l’ex amante che Juan Carlos, si dice, voleva riconquistare. Missione fallita tanto che, quando l’ormai ex monarca prova a richiedere indietro il “regalo”, si trova davanti a un osso veramente duro. Nel 2018 vengono alla luce registrazioni telefoniche in cui Corinna afferma di essere stata utilizzata come prestanome da Juan Carlos per occultare il suo patrimonio e le sue proprietà all’estero. La magistratura elvetica vuole vederci chiaro sui fondi dell’ex monarca. Ma per la Casa Reale la situazione precipita quando, a metà dello scorso mese di marzo, il quotidiano The Telegraph rivela che re Felipe VI risulterebbe come secondo beneficiario (dopo il padre) della fondazione offshore Lucum, attraverso la quale transitò la presunta tangente saudita. Per questo decide, il giorno stesso, di rompere con Juan Carlos: rinuncia all’eredità paterna e priva il re emerito della dotazione annuale di circa 190mila euro che gli veniva concessa con fondi pubblici.
Una mossa che si rivela però insufficiente perché la stampa spagnola e internazionale continua a svelare particolari sempre più imbarazzanti. Come quello dei prelievi da 100mila euro di media al mese fatti da Juan Carlos in piena crisi economica, quando in tv invitava gli spagnoli a “fare sacrifici”. Due mesi fa, mentre la magistratura elvetica continua a indagare, è entrato in scena anche il Tribunale supremo spagnolo. Per ora nessuna accusa formale, ma l’intenzione è di scoprire se Juan Carlos possa aver commesso alcun reato dopo aver lasciato il trono. Le ipotesi investigative sono due: frode fiscale e riciclaggio di denaro.
Una situazione così imbarazzante e delicata che è stato lo stesso governo Sánchez a chiedere a Felipe VI un intervento drastico. Il suggerimento era proprio quello di allontanare Juan Carlos dalla Zarzuela, il palazzo alla periferia di Madrid dove risiedono i Borbone. Ma ora che l’uscita dal palazzo si trasforma in fuga dalla Spagna, cominciano a levarsi voci critiche. È vero che l’avvocato del re emerito si è affrettato ad assicurare che il suo assistito resta comunque a disposizione della procura che sta indagando su di lui. Ma sono in parecchi a non fidarsi. A cominciare dal socio di governo dei socialisti, Unidas Podemos, che si chiede se non sia il caso di «impedire la fuga». «La gente chiede che si conosca la verità, che paghi per i reati che ha commesso e restituisca le imposte evase», dice il portavoce parlamentare Pablo Echenique.
La posizione ufficiale dell’esecutivo è espressa in un cauto comunicato di «rispetto per le decisioni comunicate dalla Casa Reale», in cui la Moncloa elogia «il senso dell’esemplarità e la trasparenza» dell’attuale capo dello Stato. I socialisti, forza politica storicamente repubblicana, per motivi di realpolitik non si sono mai voluti spingere ad affrontare la questione del cambiamento della forma di Stato. Non lo fanno neppure ora che il loro socio di governo si esprime in modo esplicito a favore del referendum. Bisognerebbe cambiare la Costituzione, operazione complessa che richiede un’ampia maggioranza ma che, ha detto pochi giorni fa la vicepremier Carmen Calvo, per ora «non è all’ordine del giorno».