Corriere della Sera, 4 agosto 2020
In Italia i contagi reali sono 1,5 milioni
Sono quasi un milione e mezzo gli italiani contagiati dal coronavirus. Sei volte di più rispetto a quelli cui l’infezione è stata diagnosticata da febbraio a giugno e che quindi risultano sui bollettini della Protezione Civile. Il 2,5% della popolazione, stabilisce il tanto atteso studio di sieroprevalenza che serve appunto a comprendere quanto il Sars-CoV-2 abbia circolato, in che modo si è espresso e in che misura può dar luogo a forme asintomatiche.
Lo studio e i risultati
L’indagine è stata condotta da Istat e ministero della Salute, col supporto logistico, fondamentale, della Croce Rossa Italiana che ha reclutato il campione di volontari non senza difficoltà. Dopo migliaia e migliaia di telefonate si è riusciti a raccogliere il campione statistico necessario e concludere l’analisi con risultati solidi. Diversi cittadini avevano infatti declinato l’invito ad aderire al progetto, negando il consenso. Oltre 64.600 i prelievi di sangue. Il 2,5% della popolazione è risultata positiva al test degli anticorpi. Significa che è venuta a contatto con l’agente infettivo responsabile della pandemia. Il virus ha «conquistato» l’Italia con una forte differenziazione territoriale. In Lombardia la prevalenza è stata del 7,5% contro lo 0,3% della Sicilia, il Veneto è a 1,9%, il Lazio a 1%.
La forza di zone rosse e lockdown
«È la conferma che l’istituzione delle zone rosse nelle Regioni del nord e poi il lockdown nazionale hanno stroncato la catena di trasmissione separando il nord dal sud e dalle isole», commenta il titolare della Salute Roberto Speranza. I contagiati sembrano una percentuale irrisoria. Invece il dato «può trasformarsi in qualcosa di problematico se non siamo prudenti», sottolinea il presidente Istat Giancarlo Blangiardo. «La percentuale del 2,5% ci dice che è stato un fenomeno significativo che ha interessato circa un milione e mezzo di persone. Il momento più difficile è alle spalle, siamo fuori dalla tempesta ma non in un porto sicuro. Usiamo cautela», ricorre al paragone marinaro Speranza. La raccomandazione, spesso inascoltata, è di indossare mascherina, lavarsi spesso le mani e distanziarsi. Sono le precauzioni grazie alle quali si può restare indenni, ma bisognerebbe che venissero applicate da tutti noi.
Le differenze territoriali
La variazione territoriale è la chiave di lettura di questa indagine. I lombardi rappresentano il 51% dei cittadini italiani positivi agli anticorpi, a conferma di quanto il Sars-CoV-2 abbia circolato. Sembra che abbia colpito in maniera selettiva, scegliendo: a Bergamo la sieroprevalenza è del 24% contro il 19% della vicina Cremona, uniche due province a mostrare la doppia cifra. I cittadini di Como e Lecco sono rimasti invece relativamente ai margini pur nell’ambito di un territorio messo sotto scacco: qui la sieroprevalenza è del 3%, poco se si pensa alla catastrofe circostante. Un altro esempio. Contagiati il 19% dei cremonesi contro il 5,1% dei pavesi. «Segno che la diffusione dell’epidemia ha interessato ristrette comunità», il commento al primato negativo della sua città Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del comitato tecnico scientifico di supporto al governo per l’emergenza coronavirus.
Le modalità di circolazione
«Non ci aspettavamo valori diversi, ci siamo allineati alle percentuali di altri Paesi», dice Locatelli citando un lavoro spagnolo pubblicato sulla rivista Lancet all’inizio di luglio, riguardanti un campione meno ampio di quello italiano. Le informazioni raccolte sul piano pratico servono a riflettere sulle modalità di circolazione di questo nuovo nemico infettivo e a seguire nel tempo «la persistenza degli anticorpi» se cioè chi li ha sviluppati mantiene l’immunità e quanto a lungo. «Essere positivi agli anticorpi non equivale a possedere il patentino di immunità», chiarisce Locatelli, preoccupato che una volta accertato col test di aver avuto l’infezione ci si possa sentire al sicuro.
Età, genere e incidenza
Non si sono viste differenze profonde tra classi d’età, ma la prevalenza è più bassa nei bambini tra 0 e 5 anni (,1,3%) e tra le persone che hanno dagli 85 in su (1,8%) probabilmente perché i piccoli sono meno esposti non avendo ancora sviluppato i recettori Ace 2 utilizzati dal virus per penetrare nella cellula umana. Gli anziani probabilmente si sono protetti di più (con mascherine e non uscendo di casa) rendendosi conto di essere una categoria molto fragile, spaventati dai tanti morti. Rispetto alla popolazione generale gli operatori sanitari sono stati doppiamente contagiati: il 5% sono risultati positivi al test sierologico (in Spagna il 10%). Non sono state notate differenze di genere, uomini e donne ugualmente esposti. E c’è un’altra informazione importante. Il tasso di letalità, cioè il rapporto tra numero di decessi e di persone entrate in contatto con il virus, è del 2,5% in linea con l’esperienza internazionale, sei volte più basso del 14% calcolato in rapporto al numero dei positivi diagnosticati col tampone, ricoverati o finiti in isolamento.
Il caso degli asintomatici
Infine è arrivato il dato certo sugli asintomatici che restano una delle incognite di questa epidemia poiché non è certo quanto e in quali circostanze siano infettivi: gli italiani positivi agli anticorpi che hanno preso il virus senza sviluppare i sintomi sono il 27,3%, come in Spagna. «Questo conferma l’importanza delle misure di protezione individuale, anche chi non si ammala può contribuire in modo rilevante alla diffusione del Covid», conferma Locatelli. Tra gli altri sieropositivi, il 24,7% ha riferito di aver avuto mal di testa, febbre o tosse, mentre il 41,5% oltre a febbre, ha elencato dolori muscolari e perdita di olfatto e gusto.