Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2020
Genova, a due anni dal crollo chiuse 134 imprese
Genova mostra le ferite provocate dal crollo del Morandi, alla vigilia dell’inaugurazione del nuovo ponte sul Polcevera, firmato da Renzo Piano. Ben 134 imprese hanno chiuso i battenti nell’arco di 20 mesi successivi alla caduta del viadotto, avvenuta il 14 agosto 2018 (con 43 vittime). E agli effetti diretti della tragedia sul tessuto economico cittadino si aggiungono quelli del lockdown per il Covid, che fanno salire il saldo negativo delle piccole imprese sotto la Lanterna a -232. A questo si aggiungono circa 420 milioni di euro di danni, in extracosti, conteggiati, per il solo effetto Morandi, dall’autotrasporto.
La manovra Genova
Un quadro tutt’altro che tranquillizzante nonostante il Governo abbia fatto convergere su Genova un buon quantitativo di risorse, attraverso una serie di provvedimenti che le istituzioni locali hanno battezzato manovra Genova. I fondi provengono dal decreto fiscale, dal decreto Genova e dalla legge di bilancio 2018 (leggi 130, 136 e 145 del 2018).
Grazie a questi provvedimenti e ad altri denari pubblici e privati, le istituzioni hanno avviato un piano triennale da oltre un miliardo di euro (finanziato, in partenza, per 450 milioni) destinato alla ripresa e allo sviluppo del porto di Genova, fortemente colpito, sotto il profilo dei collegamenti, dal crollo del Morandi, e delle attività logistiche. Tra i fondi messi sul tavolo ci sono anche quelli per il ristoro delle imprese di autotrasporto: 180 milioni, versati in tre anni.
Sostegni alle imprese
Della somma complessiva fanno parte anche i 235 milioni stanziati a sostegno delle imprese genovesi in difficoltà (da ripartirsi tra esenzioni fiscali, trasporto pubblico locale, imprese danneggiate e zona franca urbana). Di questi, a quasi due anni dal crollo, sono avanzati 13 milioni ancora da assegnare. Un avanzo creato anche dalle difficoltà, per le aziende, di accedere ai fondi determinati dai criteri decisi, a più riprese, dal Governo per scegliere le imprese da risarcire. Un criterio (dal quale sono escluse le srl) riguarda il versamento di 15mila euro una tantum alle aziende che hanno subito, a causa del crollo, una chiusura dell’attività di almeno quattro giorni consecutivi, tra il 14 agosto e il 30 settembre 2018. Altri due criteri attengono agli sgravi fiscali per la zona franca urbana. Il primo è accordato a chi può dimostrare una perdita del 30% del fatturato tra il 14 agosto e il 30 settembre 2018, rispetto alla media dei fatturati dei tre anni precedenti.
Il secondo criterio assicura sgravi alle aziende che, dal 14 agosto al 31 dicembre 2018, hanno portato il domicilio fiscale nelle aree colpite dal crollo. Un percorso, quest’ultimo, che ha aperto la strada alla nascita, nella Val Polcevera, di una serie di società con sedi apparentemente solo fittizie nell’area. Insomma una parte dei fondi è rimasta inassegnata, per effetto di burocrazia e regole poco orientate a comprendere le reali necessità delle aziende sul territorio. Alcune delle quali, magari, non hanno chiuso neppure un giorno, tra il crollo e il 30 settembre, ma hanno comunque visto i clienti scomparire; oppure hanno avuto perdite di fatturato ma non quantificabili nel 30% nell’arco di un mese e mezzo.
L’inaugurazione del nuovo ponte
Domani, dunque, mentre si svolgerà la cerimonia di inaugurazione del viadotto Genova San Giorgio, alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e del premier, Giuseppe Conte, nonché di diversi ministri, vicino al nuovo ponte resteranno molte saracinesche chiuse. Ricordo di aziende e attività danneggiate irrimediabilmente dal crollo e di altre che, già colpite dagli effetti del Morandi, hanno subito poi il colpo finale dal periodo di lockdown per il Covid.
I numeri
Ma veniamo ai numeri, elaborati dalla Camera di commercio di Genova su dati Infocamere. «Dall’1 ottobre 2018 al 30 giugno 2020 – spiega Maurizio Caviglia, segretario generale della Cciaa – il saldo tra nuove iscrizioni e cessazioni di aziende a Genova segna il saldo negativo di -232. Nell’omologo arco di tempo (1 ottobre – 30 giugno, ndr) tra 2016 e 2018, invece, il saldo risultava positivo: +37 imprese». Considerando poi il periodo del lockdown, e il mese di giugno in cui le imprese sono ripartite, si vede che, prosegue Caviglia, «dal 12 marzo al 29 giugno 2020, il saldo delle imprese genovesi è positivo per 66 unità. Nello stesso periodo del 2019 il saldo segnava +164 aziende. Vuol dire che, nell’arco di poco più di 100 giorni ci ritroviamo, rispetto all’anno scorso, con 98 imprese in meno. È morta quasi un’impresa al giorno. Alla fine quindi, possiamo dire che, sottraendo le aziende scomparse nel periodo di lockdwon e immediatamente post lockdown, sono 134 le imprese scomparse mentre il Morandi era a terra». Anche se non tutte avessero chiuso i battenti per diretta conseguenza del crollo, si tratta di un numero pesante per una città come Genova, che certo non brilla quanto a numero di nuove imprese ma che, fino al momento della caduta del ponte, aveva conteggiato numeri positivi.
L’autotrasporto
Fin qui le piccole imprese e i commercianti. Per quanto riguarda specificamente l’autotrasporto, Giuseppe Tagnochetti, responsabile ligure di Trasportounito, sottolinea che «sono circa 5 milioni, effettuate da 16mila veicoli, le missioni di viaggio svolte dagli autotrasportatori nel periodo dal 14 agosto 2018 al 31 dicembre 2020, direttamente penalizzate dal crollo del Morandi; quelle missioni, cioè, che hanno origine o destinazione nell’area portuale o urbana di Genova o sono interessate da allungamenti autostradali obbligati».
L’extracosto realmente sostenuto dalle imprese di trasporto, prosegue Tagnochetti, «è stato valutato in 600 milioni di euro per il periodo interessato, calcolati in base a parametri che tengono conto dei maggiori costi, della riduzione di marginalità, dell’inefficienze del sistema trasportistico, della perdita di competitività e degli allungamenti chilometrici». Questo a fronte di un ristoro riconosciuto, con il decreto Genova, pari a 180 milioni di euro in tre anni. «Sicuramente – chiarisce Tagnochetti – gli interventi infrastrutturali realizzati in Genova (strada della Superba, varco portuale di Ponente e collegamento diretto della strada Guido Rossa con il casello di Aeroporto, ndr) hanno attenuato i danni; che tuttavia sono risultati ingenti»: sottraendo il ristoro di 180 milioni, ammontano a 420 milioni.
A questi si sommano, aggiunge, «i danni registrati negli ultimi sei mesi, partendo dal crollo del viadotto A6, passando per quello, a dicembre, del soffitto nella galleria Bertè sull’A26, e poi ai lavori sull’A7, fino al disastro attuale, generato dalle interruzioni operative su tutto l’assetto autostradale ligure. Danni che abbiamo quantificato in oltre 300 milioni».
Insomma, spiega l’esponente di Trasportounito, «all’inaugurazione del nuovo ponte, l’autotrasporto si presenta molto indebolito e destrutturato. Il viadotto Genova San Giorgio sarà un’occasione per recuperare ma questi due anni restano una ferita per le aziende del settore che, coi ristori, hanno resistito ma hanno perso competitività e capacità di restare sul mercato. Se almeno, nel frattempo, fossero partiti i lavori per la Gronda di Genova si sarebbe dato un segnale forte sia al comparto sia, in termini reputazionali, all’Unione europea, visto che la Liguria è un centro logistico internazionale per il traffico merci».
Autostrade per l’Italia
A causa del crollo del Morandi hanno anche avuto danni diretti alcune aziende di Confindustria Genova site nelle vicinanze del viadotto: Ansaldo Energia, San Giorgio Seigen, Ferrometal e Re Vetro. Di queste aziende, tre sono state rimborsate, per i disagi subiti, direttamente da Autostrade per l’Italia, mentre con Re Vetro non c’è ancora un accordo defintivo. Aspi comunque è intervenuta su 59 imprese della zona rossa (quella più vicina al crollo), «per un totale – conferma la stessa Aspi – di alcune decine di milioni di euro. Nella zona arancione (un poco più distante, ndr) abbiamo, invece, supportato 620 realtà, tra imprese, artigiani e commercianti, per un totale di circa 10 milioni di euro».
Le tipologie di aiuti, da parte di Aspi, sono state indirizzate a «danni diretti e indiretti, business interruption, ristoro macchinari e spese di delocalizzazione, acquisto di terreni e fabbricati. Negli accordi era previsto anche un impegno, da parte dei percettori, a mantenere inalterati, per quanto possibile, i livelli occupazionali».