Il Sole 24 Ore, 2 agosto 2020
Anche gli hedge fund conoscono la crisi
Ray Dalio è abituato al ruolo di sofisticato statista degli hedge fund. Posizione che gli spetta quasi di diritto, fondatore del più grande fondo al mondo, Bridgewater Associates, portatore d’una fortuna personale da 17 miliardi e autore di successo, con un bestseller ispirato ai suoi “Principi”. Ma oggi per fare i conti con la pandemia e i suoi orizzonti incerti il 70enne decano dei gestori deve ricorrere a strategie tutt’altro che sofisticate. Bridgewater, pioniere nato nel lontano 1975, ha messo mano al licenziamento di decine di persone – nella ricerca, nei servizi ai clienti, negli uffici dedicati al reclutamento di nuovo talento.
La scure dei tagli che si è abbattuta tra i 1.600 dipendenti del colosso di Westport, Connecticut, non ha risparmiato i gruppi di “audit” interna, che cioè valutano la performance dei dipendenti. Né il cosiddetto core management team, speciale programma di addestramento concepito personalmente da Dalio. Tra i licenziati ci sono veterani da oltre 15 anni al fondo, che hanno ricevuto notifica, come in tanti altri uffici della Corporate America, attraverso riunioni in remoto organizzate via Zoom.
La società ha spiegato la mossa con un comunicato dall’apparenza innocua. «I membri del team lavoreranno più da casa e non avranno bisogno dello stesso numero di personale di supporto, le nuove tecnologie stanno cambiando le necessità di assunzione e le modalità con cui servire i clienti, e vogliamo diventare più efficienti». Malessere e urgenze di riorganizzazione davanti a un momento complesso però trapelano: diffusi licenziamenti tra i re della finanza più rarefatta sono rari. Dalio ha aggiunto che lo stesso previsto arrivo di nuovi analisti nel suo prezioso “motore degli investimenti” slitterà all’anno prossimo. A parlar chiaro, d’altro canto, sono le performance: il fondo bandiera di Bridgewater, Pure Alpha è arretrato del 13,6% da gennaio, cancellando i guadagni di ben cinque anni. Mentre gli asset in gestione del gruppo sono scivolati a 140 dai 168 miliardi di fine 2019.
Bridgewater non è l’unico fondo scosso dalla bufera senza precedenti del coronavirus. Il solo protagonista d’un settore da tremila miliardi oggi tenuto sulle spine dalla sfida di mettere a fuoco strategie vincenti nonostante, per definizione, gli hedge siano esposti per giravolte di scommesse azzeccate o perdenti. Quasi simbolicamente il leggendario John Paulson, che aveva messo a segno guadagni record da 20 miliardi durante la precedente grande crisi del 2008 scommettendo sul crollo del mercato immobiliare, ha scelto le scorse settimane per annunciato il suo ritiro a 64 anni. Scottato da cadute del 10% da gennaio, ha restituito i soldi ai clienti e trasformato il suo omonimo gruppo in un family office volto a gestire il proprio patrimonio. Renaissance Technologies è un altro nome che ha fatto notizia per i suoi affanni. Oltreoceano, il Man Group ha risentito di cali dell’8% negli asset tra gennaio e giugno. La lista è lunga.
La ripresa del secondo trimestre
Il secondo trimestre ha in realtà mostrato una ripresa per il settore. Nell’insieme la società specializzata Preqin ha stimato rendimenti medi dell’11,48%, i migliori dal 2009, capaci di recuperare una parte significativa delle perdite subite invece nel primo trimestre. Le strategie di equity hanno trainato le performance con 14,65% e i fondi event driven hanno seguito con l’11,7 per cento. Ma le performance non sono state affatto univoche e gli hedge sono rimasti reduci da declini nella prima metà dell’anno. Tra gennaio e giugno in media hanno perso il 3,49% nei calcoli di Hedge Fund Research. Gli stessi fondi dedicati alle azioni restano in calo di quasi il 3% da gennaio. Solo coloro che si sono concentrati su sanità e tech son stati premiati, questi ultimi con rendimenti del 12,7% da inizio 2020.
Gli asset totali del settore sono a loro volta risaliti del 7,4% nel secondo trimestre ma dopo una flessione dell’11% nei primi tre mesi dell’anno. E da gennaio, sempre secondo Hfr, gli hedge hanno risentito complessivamente di riscatti netti pari a 45,5 miliardi. Barclays ha previsto che i riscatti raggiungano forse i cento miliardi entro fine anno e le chiusure di hedge si sono moltiplicate. Preqin, un po’ meno pessimisticamente, ha notato che gli investitori sono rimasti cauti nei nuovi impegni di capitali durante gli ultimi mesi, per due terzi inferiori ai 50 milioni.
Il continuo nervosismo è trapelato nelle parole del presidente di Hfr, Kenneth Heinz. «Nonostante una robusta ripresa nel secondo trimestre, rischi e volatilità associati con ulteriori contagi del coronavirus, con tensioni sociali e con le elezioni statunitensi rimangono elevati», ha dichiarato.
La crisi, oltre a fare scattare nuove riorganizzazioni, ha accelerato ripensamenti già in atto sull’onda di pressioni di più lungo periodo sugli hedge. Tra questi la diminuzione delle commissioni e dei costi caricati dai fondi in un clima di crescente concorrenza. Kyle Bass, alla guida del texano Hayman Capital, ha promesso quest’anno di intascare la sua tradizionale percentuale del 20% dei profitti soltanto se saprà assicurare guadagni a tre zeri in un suo nuovo veicolo.
Non sono mancati i fondi finora parsi nettamente in ascesa: tra questi Citadel di Ken Griffin, forte di strategie diversificate, che è in rialzo del 13,3% da gennaio con i suoi oltre 30 miliardi in gestione. O Millennium Management, che guadagna il 10% e con 42 miliardi di asset. E Universa del 49enne Mark Spitznagel, specializzato nelle puntate su eventi imprevisti e drammatici, è salito alla ribalta nel primo scorcio dell’anno con guadagni fino al 4.000% grazie a scommesse indovinate sulla gravità della pandemia. Simili performance attirano l’attenzione del mercato. Un sondaggio di Bloomberg ha trovato che metà di 50 investitori istituzionali interpellati potrebbe aumentare l’esposizione agli hedge nei prossimi mesi. Se però i fondi riusciranno collettivamente a ritrovare lo smalto perduto nell’era del coronavirus resta una scommessa aperta.