la Repubblica, 2 agosto 2020
La prima centrale atomica degli Emirati Arabi
Tre anni di ritardo sulla tabella di marcia, numerosi rinvii, ma la prima centrale atomica nella penisola araba è alla fine in funzione. Nonostante le preoccupazioni degli esperti e l’allarme dei vicini, gli Emirati arabi uniti hanno acceso uno dei quattro reattori dell’impianto nucleare di Barakah, 200 chilometri a Ovest di Abu Dhabi, a breve distanza dal confine con il Qatar.Lo scorso anno proprio Doha aveva definito Barakah – che in arabo vuol dire “benedizione divina” – una «minaccia alla pace e all’ambiente». Gli Emirati intendono usarla per coprire un quarto del proprio fabbisogno energetico e sbandierano l’inizio dell’attività come un altro significativo passo verso l’emancipazione dal petrolio che li ha resi ricchi, ma in cui non vogliono rimanere impantanati.
L’impianto è stato costruito grazie alla collaborazione tecnica della Korea Electric Power Corporation che ha offerto i suoi servigi a un prezzo concorrenziale – circa il 30% in meno rispetto agli avversari. Troppo, sottolineano gli sconfitti, come la francese Areva. La Ceo Anne Lauvergeon è arrivata a paragonare il reattore coreano a una «auto senza cinture né airbag».
«È un reattore sbagliato, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato», il verdetto di Paul Dorfman, fondatore e presidente del Nuclear Consulting Group, consulente di governi sui rischi da radiazioni nucleari. Al reattore di Barakah – spiega – mancano i sistemi di sicurezza di terza generazione, quelli che servono in caso di missili o dello schianto di un aereo. Rischio non campato in aria, se si ricorda l’attacco dello scorso settembre contro gli impianti petroliferi sauditi della Aramco a Abqaiq e Khurais. Dorfman – nelle 24 pagine del suo studio Gulf Nuclear ambition: New Reactors United Arab Emirates — sottolinea anche le incognite sul trasporto dei materiali nucleari in una zona politicamente volatile e soggetta alla pirateria come il Mar arabico. E solleva timori ambientali per l’incremento dell’inquinamento delle acque in un’area con un approvvigionamento idrico già scarso.
Non molto lontano sono attivi già la centrale israeliana di Dimona e gli impianti iraniani. L’Arabia Saudita, poi, vorrebbe costruire 16 reattori nei prossimi 25 anni. Gli Emirati si sono attenuti a tutte le norme internazionali impegnandosi a un nucleare solo civile, e hanno accolto una quarantina di missioni internazionali e ispezioni dell’Aiea guadagnandosi il plauso degli Stati Uniti. Ma gli esperti avvertono: se un Paese si dota di nucleare civile è molto più probabile che poi cada nella tentazione dell’arma atomica. «La tensione geopolitica nel Golfo rende il nucleare un terreno molto controverso, qui molto più che in qualunque altra parte del mondo», ripete Dorfman.
Diversi think tank fanno un po’ di conti. Lo stanziamento per Barakah è lievitato dai 20 miliardi di dollari previsti nel 2009 a circa 30 miliardi. I costi dell’energia solare tra il 2009 e il 2019 sono scesi dell’89% e quelli dell’eolica del 43%, più 26%, invece, per il nucleare. Anche il portafoglio, insomma, suggerisce che non sia una buona idea moltiplicare le centrali in un’area già tanto calda.