il Giornale, 3 agosto 2020
Il racket dei vestiti usati
L’ultimo caso è di circa un mese fa. A Lonate Pozzolo (Varese) un uomo è stato fermato dopo che le telecamere di sorveglianza lo avevano immortalato mentre rubava abiti usati dai cassonetti usati per la raccolta. Casi del genere sono all’ordine del giorno da anni, così come il ritrovamento di vere e proprie discariche piene di maglioni, pantaloni, scarpe e altri indumenti dismessi. Intorno alla raccolta di questi materiali è nato un mercato nero che in alcuni casi ha assunto le dimensioni del racket. I cittadini sono convinti che depositando i capi nei contenitori presenti sulle strade questi vadano in beneficenza, o siano riciclati correttamente. Purtroppo, però, non è sempre così.
La filiera dell’illegalità è cresciuta in modo esponenziale e così oggi è possibile trovarsi di fronte a cassonetti non autorizzati che però è quasi impossibile riconoscere come tali -, a persone che raccolgono gli abiti usati porta a porta senza avere alcun titolo per farlo e a piccoli delinquenti in grado di forzare i contenitori ufficiali per rubare la merce migliore, gettando per strada tutto quello che non serve. Una volta recuperati, questi capi vengono venduti in nero nei mercatini o negozi dell’usato. Ciò che avanza viene smaltito nelle discariche abusive. Ad allungare le mani sul settore è stata però anche la criminalità. Qualche anno fa un’inchiesta condotta dalla squadra mobile di Roma, nell’ambito di Mafia Capitale, ha per esempio fatto luce su un’organizzazione dedita al traffico di abbigliamento dismesso. I capi, destinati alla beneficenza, venivano venduti fra Africa ed Europa dell’Est.
IL CENSIMENTO
Il fenomeno è esteso, ma non esistono dati ufficiali. Ha provato a fare i conti il Conau, Consorzio nazionale abiti e accessori usati. Dalla ricerca emerge che in Italia ogni anno vengono raccolte legalmente circa 135mila tonnellate di capi usati, depositati nei cassonetti per la raccolta differenziata. Il materiale non è destinato alla donazione, si tratta infatti di rifiuti che vengono selezionati per poi seguire un percorso differente. L’abbigliamento in buone condizioni circa il 35% del totale – viene ceduto ai negozi di abiti usati, quello non riutilizzabile circa il 55% viene invece destinato al riciclo e quindi venduto alle aziende specializzate. La maggior parte è concentrata nell’area intorno a Prato: partono dalle fibre per realizzare lana cardata, pezzame destinato alle industrie o pannelli fono assorbenti. Un ulteriore 10% finisce nelle discariche, che lo smaltiscono con un costo che si aggira intorno ai 200 euro a tonnellata. Nelle pieghe di questa filiera controllata e assolutamente autorizzata si è però sviluppato un mercato parallelo, che vive di nero e di abusivismo. Sempre secondo il Conau, c’è infatti un altro 40% di abiti usati che viene raccolto illegalmente. Il materiale in buone condizioni viene venduto senza alcuna fattura ai mercatini dell’usato. Ciò che avanza viene abbandonato per strada, bruciato, lasciato nelle discariche abusive, accatastato in capannoni nascosti nelle campagne o nelle periferie delle città.
Naturalmente c’è anche l’abbigliamento che segue una strada diversa. Quella delle donazioni, dell’altruismo. È una strada più lineare, grazie all’impegno quotidiano della Caritas. Gli abiti portati dai cittadini nelle diverse sedi, o nelle 26mila parrocchie aderenti alla rete, vengono regalati a chi ha bisogno. «Il destino di questi materiali è molto complesso, per questo è necessario fare chiarezza precisa Andrea Fluttero, presidente del Conau -. I cassonetti disposti per strada sono destinati esclusivamente alla raccolta differenziata. Ciò che i cittadini depositano viene quindi selezionato e poi venduto. Sia ai negozi dell’usato, sia alle aziende che si occupano del riciclo. La parte restante e non in buone condizioni finisce nelle discariche legali. La stessa cosa succede per i cassonetti che hanno il marchio Caritas. Anche in questo caso l’abbigliamento diventa un rifiuto differenziato. La raccolta è affidata a cooperative che lavorano con la Caritas, dopo aver vinto la gara di appalto indetta dal Comune. Con l’obiettivo di dare vita a progetti di inclusione sociale e di lotta alla disoccupazione».
VOLONTARI TRADITI
Le donazioni vengono invece organizzate direttamente dalla Caritas, attraverso la consegna in sede o nelle diverse parrocchie. «Il problema è che la raccolta non è solo legale prosegue il presidente -. Ogni giorno vengono segnalati furti nei cassonetti, spesso opera di rom o persone senza fissa dimora. Gli abiti non vengono rubati per far fronte a un bisogno personale. Vengono invece selezionati con cura, in modo da vendere in nero i capi migliori. Gli altri sono abbandonati per terra e così creano degrado, inquinamento e non possono più essere riciclati». Tutto questo genera un danno economico importante. Ma anche diffidenza da parte dei cittadini, sempre meno invogliati a differenziare i propri vestiti. «Per capire l’entità del fenomeno basta guardare a quanti capannoni abbandonati stracolmi di rifiuti tessili sono stati scoperti negli ultimi anni. Nella maggior parte dei casi sono gestiti da aziende criminali che, dopo aver venduto la parte migliore, smaltiscono illegalmente ciò che resta afferma Fluttero -. All’ordine del giorno sono anche i furti all’interno dei cassonetti. Ma si tratta di un reato lieve, che raramente viene perseguito. Anche se alla filiera ufficiale crea danni economici ingenti». In realtà nel nostro Paese rovistare nei cassonetti degli abiti usati è un reato, per la precisione furto aggravato. A stabilirlo è stata una sentenza della Corte di Cassazione del 2018. Che però non è riuscita ad arginare il fenomeno. Nel frattempo chi lavora in questo settore perde migliaia di euro al giorno. Un problema serio, se si pensa che sono almeno un migliaio le persone impegnate a tempo pieno nella raccolta, che si sommano a quelle attive nel campo del riciclo e dello smaltimento. «Una sola impresa di raccolta differenzia recupera in media 5mila tonnellate di rifiuti tessili ogni anno conclude il presidente -. Dando lavoro a circa 30 persone». Il settore potrebbe comunque cambiare a breve. Dal primo gennaio 2023 la raccolta differenziata degli abiti diventerà infatti obbligatoria anche in Italia, grazie al recepimento di una direttiva Ue. Una rivoluzione destinata a combattere in modo più radicale l’illegalità. Un fenomeno denunciato più volte dalla stessa Caritas. «Negli ultimi anni ci siamo impegnati moltissimo per combattere questo problema conferma Don Marco Pagniello -. Innanzi tutto siamo più attenti alla filiera delle donazioni. Gli indumenti consegnati alle nostre 26mila parrocchie vengono regalati direttamente a chi ha bisogno. Quelli raccolti attraverso le cooperative impegnate in progetti di inclusione sociale sono invece ceduti a terzi. Vorremmo un registro di queste società, per controllare meglio il percorso dei materiali, per garantire che la filiera sia non solo legale ma anche etica. In passato si sono verificati problemi, con capi venduti in nero o finiti all’estero senza alcuna autorizzazione».
Per la Caritas, e per le cooperative ad essa collegate, i furti nei cassonetti rappresentano un danno importante. «Circa il 20% dei capi depositati dai cittadini venga trafugato per poi essere venduto illegalmente», dice Pagniello. Qualcosa si muove, grazie all’impegno di alcune realtà territoriali come la Caritas di Genova. «Abbiamo avuto molti problemi in passato. Così ci siamo mossi, prima sensibilizzando le forze dell’Ordine e poi modificando i cassonetti in modo che sia più complicato aprirli. Le infrazioni sono diminuite costantemente», assicura Giuseppe Armas dal capoluogo ligure. «Sono stati progetti molto onerosi per noi, ma necessari per garantire sicurezza e legalità».