La Stampa, 3 agosto 2020
La strada sull’Himalaya che porta India e Cina alla guerra
Guardandola sembrerebbe niente più che una strada sterrata dove passa a malapena un camion alla volta. Viaggia in quota, arrivando fino a cinquemila metri sul livello del mare. Eppure, questa carreggiata che collega Leh, capitale dello stato indiano del Ladakh, con un aeroporto militare nel cuore dell’Himalaya rischia di far deflagrare una guerra tra India e Cina, le due potenze nucleari più popolose al mondo. È proprio a causa di questa strada che, a metà giugno, centinaia di soldati cinesi e indiani si sono affrontati in alta montagna, nel cuore della notte, la gran parte a mani nude, ma alcuni con mazze ferrate, per stabilire dove si trova davvero il confine tra i loro due Paesi. Almeno 20 soldati indiani e un numero non precisato di militari cinesi sono rimasti uccisi cadendo nei burroni o in un fiume glaciale.
Come mai questa strada polverosa che porta fino all’aeroporto di Daulat Beg Oldi, ai piedi del ghiacciaio dello Siachen, è così importante da causare morti cruente tra soldati che, per un accordo bilaterale, non portano pistole o fucili e che quindi si sono massacrati a mani nude? Il problema è che siamo in un ambito nebuloso, dove le frontiere non sono mai state concordate davvero, dove ogni metro di terra, per quanto aspra, arida e apparentemente inutile, nutre l’insicurezza nazionale di entrambi i colossi asiatici, non senza qualche fondamento storico. Per entrare nello specifico di questa sanguinosa schermaglia che rischia di ripetersi in diversi focolai frontalieri, bisogna sapere che la strada indiana che porta da Leh fino all’aeroporto di Daulat Beg Oldi scorre parallela alla frontiera con la Cina, tangendo il fiume Shyok. Un affluente dello Shyok, il fiume Galwan, che dà il nome all’omonima valle, nasce nel lato cinese della montagna. Secondo la versione indiana, le truppe cinesi si sarebbero spinte fino al punto di confine della valle di Galwan stabilendo un centro di osservazione che avrebbe consentito ai cinesi di monitorare e, in caso di guerra, di colpire camion e carri armati in transito sulla strada indiana che porta verso il ghiacciaio. Per gli indiani si trattava di garantire la sicurezza degli spostamenti di mezzi militari, per i cinesi di reclamare il diritto di stabilire postazioni nel proprio territorio.
Ma non è solo questa strada di 255 chilometri chiamata Darbuk-Shyok-Daulat Beg Oldi (Dsdo) a mettere in crisi New Delhi e Pechino. Sono molte, tra le montagne più alte al mondo, le strade e le postazioni che irritano entrambe le nazioni e che rischiano di portare a un’escalation fuori contro.
Il problema inizia quando nel 1950 l’esercito Popolare di Liberazione cinese invade il Tibet e prende il controllo dell’Aksai Chin, la regione kashmira a nord del Ladakh indiano, all’incrocio tra Cina, Pakistan e India. L’Aksai Chin non è altro che un vasto deserto salino semidisabitato a cinquemila metri d’altitudine, ma è di vitale importanza per Pechino anche perché è attraversato da una strada che congiunge il Tibet a un’altra regione problematica per la Cina, lo Xinjiang dov’è in corso una campagna di "rieducazione" repressiva della popolazione autoctona degli uiguri.
Ad oggi, Cina e India non hanno ancora concordato quale sia la frontiera tra l’Aksai Chin e il Ladakh, che sono divise invece da una Linea di Reale Controllo. Nel 1962, proprio a causa di questa disputa territoriale, scoppiò una guerra tra i cinesi e gli indiani, i quali furono costretti a ritirarsi. Avendo visto cos’era accaduto con l’invasione cinese, con l’orda di militari e mezzi che calava dall’Himalaya, fino a pochi anni fa la posizione dell’India era stata di lasciare che le zone montane di confine rimanessero il più selvagge possibile. Perché? La strategia era di non costruire strade o linee ferroviarie per evitare di rendere più facile un’invasione dell’India di mezzi cinesi. Una tattica passiva. Ma il governo Modi ha cambiato rotta, anche spinto dall’ondata di orgoglio nazionalista che si basa, come in Cina, sull’ammirazione patriottica dell’esercito, e ha puntato sulla costruzione di strutture, ovvero strade e ponti, in grado di portare carri-armati, artiglieria pesante, truppe e aerei nelle zone di confine.
Si è deciso dunque di aprire i collegamenti tra le basi giù nelle valli e le postazioni più in alto sull’Himalaya, lungo tutti i confini con la Cina, in preparazione alle battaglie in alta quota. Negli ultimi anni, si è lavorato a un progetto di cinquemila chilometri di strade, completate solo in piccola parte, ma in continua crescita.
Dall’altro lato della vaga e imprecisa frontiera, i cinesi, con la loro rapidità edilizia, hanno continuato a costruire reti di trasporto efficientissime. Non solo treni ad alta velocità nei terreni complicati del Tibet, ma anche una strada che porta mezzi pesanti fino a un’altra zona del confine, Doklam, nell’incrocio delle frontiere tra Cina, India e Bhutan. Nel 2017, fu questa strada cinese troppo vicina al confine indiano nello stato indiano del Sikkim a causare scontri seguiti da proteste diplomatiche.
Un’ulteriore zona calda del conflitto tra India e Cina lungo le valli e le creste dell’Himalaya è il lago di Pangong, sempre lungo il confine tra Ladakh e Aksai Chin. Lì lo scorso maggio i cinesi stavano rafforzando le postazioni militari su un promontorio che si estendeva sul lago, proprio sulla Linea di Reale Controllo. Dopo una schermaglia tra i militari dei due paesi, l’accampamento è stato divelto e l’assembramento militare cinese si è ritirato a qualche chilometro di distanza.
Ma nonostante questo e altri segnali dimostrativi di ritiro delle truppe, in un altro punto della Linea Reale di Controllo, al passo di Lipulekh al confine con l’Uttarakhand indiano, si sono già ammassati altri mille soldati cinesi, in quello che rischia di essere il prossimo punto di scontro tra le due grandi nazioni asiatiche. Tutto ciò si sviluppa sullo sfondo del conflitto ancora più ampio tra Stati Uniti e Cina, con Washington che si avvicina sempre più a Delhi, e Pechino che rafforza la sua alleanza con il Pakistan, costruendo sempre più strade per la logistica militare-commerciale che passano anche per l’Afghanistan.
Nonostante finora ci siano stati dei passi indietro, nascosti dalle roboanti dichiarazioni ispirate alla retorica del nazionalismo delle due potenze nucleari, i punti di possibile conflitto si fanno sempre più sensibili. Con il mondo distratto dalla battaglia al coronavirus, la Cina ha attivato più fronti lungo i suoi confini e oltre. E quello in alta quota, muso a muso con la vicina India, tra le strade della discordia, potrebbe rivelarsi uno dei più pericolosi sullo scacchiere di Pechino.